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Maternità e paternità mancata

In questi giorni, sulle pagine dei quotidiani, dei rotocalchi o nelle trasmissioni televisive, la maternità mancata viene affrontata come una malattia.

A stento si arriva a pensare che forse accanto ad una madre mancata c’è anche un padre mancato.

Il disegno di legge sulla fecondazione assistita sta suscitando un acceso dibattito secondo le opinioni più disparate.

Ciò che è oggetto della questione è il dato biologico, per cui va puntualizzato che la sterilità può essere considerata una malattia.

Ben altra cosa è la fecondità della coppia, che va oltre il semplice dato biologico.

Ci sentiamo, a questo punto, di indirizzare un messaggio di speranza a quanti soffrono nella loro vita matrimoniale perché non vedono concretizzarsi il loro desiderio di avere un figlio e si trovano a sperimentare un duro e difficile peregrinare da medico a medico, da laboratorio a laboratorio nella speranza di essere padri e madri.

L’amore di per sé è fecondo,  per cui anche nella dura esperienza della sterilità fisica una coppia può vivere la genitorialità al di là della paternità e maternità biologica.

L’essere mamme e padri è una dimensione da raggiungere insieme come frutto di una maturazione nella coppia.

Giovanni Paolo II, nel 1981, nella Familiaris consortio affermava:

Il fecondo amore coniugale si esprime in un servizio alla vita dalle forme molteplici, delle quali la generazione e l’educazione sono quelle più immediate, proprie ed insostituibili. In realtà, ogni atto di vero amore verso l’uomo testimonia e perfeziona la fecondità spirituale della famiglia perché è obbedienza al dinamismo interiore profondo dell’amore come donazione di sé agli altri.

A questa prospettiva, per tutti ricca di valore e di impegno, sapranno ispirarsi in particolare quei coniugi che fanno l’esperienza della sterilità fisica. [Familiaris consortio, n. 41]

La coppia matura non è quella ripiegata su se stessa alla ricerca del proprio equilibrio, ma quella che è spinta ad uscire da sé per farsi dono.

La coppia matura sperimenta nella coniugalità, nella relazione a due cosa significhi farsi dono per l’altro nella reciprocità.

Questa relazione così vissuta presenta i segni della fecondità; diventa fonte di armonia per la coppia stessa rendendola capace, poi, di diffondere intorno a sé tale armoniosa esperienza; le diversità si integrano dando una realtà totalmente nuova; nasce dall’io e dal tu il noi della coppia.

L’amore genera amore perché vive d’amore e porta a donarsi agli altri.

All’interno della propria casa la coppia matura sperimenta il dono di sé.

Si apre alla vita perché l’amore chiama alla vita, genera vita in senso innanzitutto spirituale e poi, se Dio vuole, anche sul piano fisico.

Si è padre o madre, non si fa il padre o la madre.

Toccare la vita è un toccare le corde più profonde dell’essere umano.

L’intimità della coppia merita una cura particolare non da vivere come un evento di laboratorio,  come un evento manipolabile dall’esterno.

Tutto ciò che riguarda l’uomo o la donna non può essere affrontato come un puro tecnicismo, dove il prodotto finale viene ad essere un figlio, frutto, molto spesso, più dei successi della scienza che dell’intesa della coppia.

Di quale uomo o donna stiamo parlando?

Forse dell’uomo e della donna robotizzati e quindi manipolabili in laboratorio come  interessanti meccanismi in cui l’assenso degli aspiranti genitori si confonde con il consenso del medico sperimentatore per produrre un figlio a tutti i costi.

Il figlio, così, rischia di  totalizzare l’apertura della coppia;  potrebbe generare nella coppia stessa un atteggiamento possessivo asfissiante, aberrante, distruttivo; si potrebbe avere un padre- padrone, una madre- matrigna ed un figlio ennesima vittima della cupidigia umana.

La generazione di un figlio non è questione unicamente fisiologica, appannaggio della biologia.

Poter generare. Quale esperienza!

Generare alla vita è una missione che investe la coppia uomo- donna. Investe le loro storie, le loro risorse, le loro energie, le loro capacità di morire a se stessi, ai loro egoismi per poter trasmettere amore, donare se stessi nonostante tutto.

Il figlio non è un progetto, un prodigio della tecnica, della scienza, è carne della propria carne, è persona umana.

Quanto è difficile anche per chi non ha problemi di sterilità e riesce ad avere figli nella carne, percepire una tale profondità nell’intimità coniugale.

Incamminarsi insieme nel rispetto della diade uomo- donna può portare a fare una siffatta esperienza all’interno della realtà umana.

Bisogna, però, saper guardare al di là dell’opaco confine dei corpi per osservare quale divino progetto è scritto  all’interno della natura umana.

Il procreare, il mettere al mondo un figlio è solo il primo passo di una lunga e continua esperienza di trasmissione di vita, di generare alla speranza, di infondere coraggio e sostegno,  di  comunicare valori che orientino il cammino nella vita.

Genitori si è chiamati ad esserlo sempre.

L’evento iniziale di dare la vita ad un figlio è soltanto un aspetto sul piano fisico di una lunga catena che si esaurisce con la vita stessa della coppia impegnata su di un piano non più biologico, ma spirituale.

“E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla” Gv 6, 63

 

Pubblicato in Temi di riflessione

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