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Paternità e Maternità Responsabile

Nella società attuale abbiamo assistito, negli ultimi cinquant’anni, nel campo della riproduzione umana, a tre tipi di “separazione”.

La prima ha riguardato la dimensione unitiva che è stata scissa, per la pillola estroprogestinica, da quella procreativa; la seconda, per l’avvento delle tecniche di riproduzione artificiale, si è realizzata addirittura tra la procreazione e la dimensione unitiva e la corporeità; la terza, infine, con la clonazione, si è ottenuta inducendo la riproduzione di un essere vivente senza l’unione sessuale.

Tutto ciò non fa altro che ingenerare confusione in quanto non appare più la persona umana come protagonista della relazione amorosa, ma piuttosto appare la vita, l’amore e tutto quanto ad esso connesso come evento che interessa la ricerca scientifica piuttosto che coinvolgere l’uomo nella sua totalità.

Appunto per fare chiarezza su un aspetto che a noi credenti appare fondamentale perché la vita è un valore sacro, proponiamo una riflessione sull’apertura alla vita partendo dalla lettera enciclica “Humanae vitae” di Sua Santità Paolo VI.

Riportiamo alcuni punti di tale documento, per poi, attraverso alcune considerazioni attinte dalle scienze umane, passare alla testimonianza di una coppia che ha fatto e fa esperienza di essere aperta alla vita come via per vivere profondamente la vocazione all’amore.

Le caratteristiche dell’amore coniugale

9. In questa luce appaiono chiaramente le note e le esigenze caratteristiche dell’amore coniugale, di cui è di somma importanza avere un’idea esatta. È prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera, destinato non solo a mantenersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana; così che gli sposi diventino un cuor solo e un’anima sola, e raggiungano insieme la loro perfezione umana. È poi amore totale, vale a dire una forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve o calcoli egoistici. Chi ama davvero il proprio consorte, non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se stesso, lieto di poterlo arricchire del dono di sé. È ancora amore fedele ed esclusivo fino alla morte. Così infatti lo concepiscono lo sposo e la sposa nel giorno in cui assumono liberamente e in piena consapevolezza l’impegno del vincolo matrimoniale. Fedeltà che può talvolta essere difficile, ma che sia sempre possibile, e sempre nobile e meritoria, nessuno lo può negare. L’esempio di tanti sposi attraverso i secoli dimostra non solo che essa è consentanea alla natura del matrimonio, ma altresì che da essa, come da una sorgente, scaturisce una intima e duratura felicità. È infine amore fecondo, che non si esaurisce tutto nella comunione dei coniugi, ma è destinato a continuarsi, suscitando nuove vite. “Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori”.

La paternità responsabile

10. Perciò l’amore coniugale richiede dagli sposi che essi conoscano convenientemente la loro missione di paternità responsabile, sulla quale oggi a buon diritto tanto si insiste e che va anch’essa esattamente compresa. Essa deve considerarsi sotto diversi aspetti legittimi e tra loro collegati. In rapporto ai processi biologici, paternità responsabile significa conoscenza e rispetto delle loro funzioni: l’intelligenza scopre, nel potere di dare la vita, leggi biologiche che riguardano la persona umana. In rapporto alle tendenze dell’istinto e delle passioni, la paternità responsabile significa il necessario dominio che la ragione e la volontà devono esercitare su di esse. In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita. Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all’ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete. L’esercizio responsabile della paternità implica dunque che i coniugi riconoscano i propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia dei valori. Nel compito di trasmettere la vita, essi non sono quindi liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante della chiesa.

Rispettare la natura e la finalità dell’atto matrimoniale

11. Questi atti, con i quali gli sposi si uniscono in casta intimità e per mezzo dei quali si trasmette la vita umana, sono, come ha ricordato il recente concilio, “onesti e degni”, e non cessano di essere legittimi se, per cause mai dipendenti dalla volontà dei coniugi, sono previsti infecondi, perché rimangono ordinati ad esprimere e consolidare la loro unione. Infatti, come l’esperienza attesta, non da ogni incontro coniugale segue una nuova vita. Dio ha sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il susseguirsi delle nascite. Ma, richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi: atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita.

Inscindibili due aspetti: unione e procreazione

12. Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo. Infatti, per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna. Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità. Noi pensiamo che gli uomini del nostro tempo sono particolarmente in grado di afferrare quanto questa dottrina sia consentanea alla ragione umana.

Fedeltà al disegno di Dio

13. Giustamente infatti si avverte che un atto coniugale imposto al coniuge senza nessun riguardo alle sue condizioni ed ai suoi giusti desideri non è un vero atto di amore e nega pertanto un’esigenza del retto ordine morale nei rapporti tra gli sposi. Così, chi ben riflette dovrà anche riconoscere che un atto di amore reciproco, che pregiudichi la disponibilità a trasmettere la vita che Dio creatore di tutte le cose secondo particolari leggi vi ha immesso, è in contraddizione sia con il disegno divino, a norma del quale è costituito il coniugio, sia con il volere dell’Autore della vita umana. Usare di questo dono divino distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità è contraddire alla natura dell’uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua santa volontà. Usufruire invece del dono dell’amore coniugale rispettando le leggi del processo generativo, significa riconoscersi non arbitri delle sorgenti della vita umana, ma piuttosto ministri del disegno stabilito dal creatore. Infatti, come sul suo corpo in generale l’uomo non ha un dominio illimitato, così non lo ha, con particolare ragione, sulle sue facoltà generative in quanto tali, a motivo della loro ordinazione intrinseca a suscitare la vita, di cui Dio è principio. ” La vita umana è sacra, ricordava Giovanni XXIII; fin dal suo affiorare impegna direttamente l’azione creatrice di Dio “.

Vie illecite per la regolazione della natalità

14. In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare, come il magistero della chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. Né, a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente infecondi, si possono invocare, come valide ragioni: che bisogna scegliere quel male che sembri meno grave o il fatto che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale. In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale al fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali. È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda.

I figli diventano il segno evidente della comunione coniugale e, nel matrimonio cristiano, espressione fondamentale di quella realtà eucaristica che è l’amore coniugale. I figli, pertanto, evidenziano che senza autentica comunione coniugale non è possibile un’autentica fecondità di figli.

I figli sono segni efficaci di reciprocità, di gratuità, di fecondità, espressione di creatività e risultano essere, come recita il salmo 127, “frecce in mano a un eroe” cioè aiuto donato da Dio per entrare nel combattimento di ogni giorno come coppia cristiana.

Luce Irigaray, scrittrice femminista, afferma che il corpo della donna è aperto ad una doppia realtà: la maternità e l’incontro con l’altro, due realtà che nascono dalla stessa radice relazionale.

La maternità è richiamo alla relazionalità e dinanzi alla cultura della differenza, della rivalità dei sessi, va prendendo sempre più consistenza l’importanza della diversità dei sessi nella relazione di coppia come complementarità e peculiarità del dono da vivere nel rapporto sessuale.

Paolo VI, il 2/10/74 nel Discorso ai membri del Consilium de Laicis, ha osservato che “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, è perché sono dei testimoni”.

Questo ci induce, come consultorio familiare, ad affrontare l’argomento non come un importante aspetto dottrinale della morale cattolica matrimoniale, ma piuttosto, con l’ausilio offertoci da testimoni, da persone la cui realtà coniugale è vissuta con apertura alla vita, come un’esperienza da fare.

Qui non si tratta di teorizzare, guardando alla problematica in maniera sterile come se fosse una legge da osservare, ma si tratta di cogliere l’importanza di quanto viene vissuto da coppie cristiane con tutte le difficoltà che sono seminate nella sessualità e nella vita coniugale.

L’amore è il frutto di questa reciprocità del dono. Ognuno si dona ed accoglie come dono l’altro ed insieme i due si donano perché nasca un’altra realtà riconosciuta anch’essa come dono. Il dare vita è, da parte della coppia, una fattiva collaborazione all’opera creatrice di Dio.

Riportiamo, a questo punto, la testimonianza resa da una delle tante coppie che guarda all’apertura alla vita come una missione da vivere nella società contemporanea.

Forse ci capitano poche occasioni per cogliere l’esperienza edificante di quanti coraggiosamente si lasciano guidare dall’amore più che dalla programmazione, dalla voce del loro cuore più che dalle indagini statistiche, divulgate al solo fine di esercitare limitazioni demografiche senza tenere in alcun conto la salute, il benessere della coppia e della famiglia.

La motivazione dell’apertura alla vita- racconta la coppia – affonda le sue radici nella storia personale di ambedue; tutto parte dalla Croce.

“Nella mia vita, afferma lui, sono andato alla ricerca di una relazione con mio padre; istintivamente, naturalmente mi sentivo spinto verso mio padre, sin da quando ero piccolo.

Incontravo enormi difficoltà dinanzi alle distrazioni, all’affanno, alle preoccupazioni della sua vita.

Ho incontrato Dio o meglio Dio si è lasciato incontrare da me nell’adolescenza, illuminando quella realtà per me di sofferenza, disagio, dando una risposta ai miei interrogativi sul motivo di quella incomprensione, sul perché di quella incomunicabilità.

L’amore di Dio alla mia vita ha incominciato a riscaldare il mio essere e a spingermi a comprendere, a giustificare, a ricercare una causa a quel fatto, che in qualche modo inchiodava la mia storia al legno della fragilità.

Accanto a questa semina, c’è stata un’altra parola seminata che m’invitava a vivere la vita con furbizia, a coprire i sentimenti con astuzia, a velare il pensiero con parole di circostanza, a mascherare i miei sentimenti.

La scoperta della sessualità, poi, con tutti i limiti e la ricerca di una sessualità appagante il bisogno profondo di vita, per venire fuori dalla solitudine dell’esistenza, ha fatto sì che il sogno diventasse un modo di guardare la vita e la storia con gli occhi di ragazzo lasciando però che l’immagine della bellezza si abbozzasse, che l’ideale acquistasse forma, che l’amore assumesse sembianze umane.

Dio ha fatto tutto questo colmando tanti momenti di solitudine, di incomprensione, asciugando le lacrime, consolando la mia esistenza proponendomi suo figlio Gesù Cristo come liberatore, dandomi un pane, un sostegno nelle traversie della vita.

Così è stato possibile riconoscere l’Amore quando si è presentato a me e, poi, in questa relazione affettiva con mia moglie ho cercato di scoprire me stesso, come creatura capace di amare, bisognevole di amore, incompleta e desiderosa di completarsi in un altro.

Ho incominciato a camminare insieme alla compagna della mia vita, vivendo la sessualità come bene nel sacramento del matrimonio, con la consapevolezza che l’incontro di due finitezze, di due fragilità realizza con l’opera di Dio una comunione fortissima.

Formarsi insieme, aiutarsi, sostenersi, scoprire come l’allontanarsi da se stesso per rivolgersi e donarsi all’altro richiede un impegno quotidiano, continuo, una scelta di fondo possibile nell’adesione all’Amore di Dio.

Vivere una relazione in crescita permanente per arrivare più che ad una sterile affermazione di sé, a scoprire la forza di essere in due: un < noi >, che entra nella vita tenendosi per mano.

In tale contesto il figlio diviene il segno tangibile di questo incontro e la premura richiesta dal suo sviluppo una chiara presa di coscienza, di consapevolezza di un dono da donare a sua volta e non di un egoistico appagamento.

L’apertura alla vita è divenuto dialogo, aiuto nella fragilità, scoperta di essere inseriti in una storia come protagonisti, ma anche come spettatori di un’opera trascendente la mente umana, la comprensione umana; l’abbandono fiducioso alla tenerezza amorosa del Padre celeste ha reso possibile il discernimento su quanto fosse buono per la vita di coppia e della famiglia; donarsi completamente o sostenersi teneramente attraverso la continenza, che è rivelazione di come la relazione non sia scontata, banale, meccanicamente e tecnicamente vissuta, ma sia slancio, impeto, impulso che incanalato nel fluire dei sentimenti e delle sensazioni, diviene linguaggio proprio di ciascuna coppia, tenerezza singolare e irripetibile capace di cementare l’intimità di un uomo e di una donna , lasciando intravedere energie e risorse evocanti la vita e non logiche mortifere.

L’apertura è diventata per noi creatività, in cui il nostro cuore, le nostre identità, le nostre persone sono state messe in gioco, in un costante atteggiamento di ascolto della storia, perché lì Dio stesso ci ha dato appuntamento per farci felici”.

Pubblicato in Temi di riflessione

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