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Il rifiuto psicologico

“Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra”  Gv 8, 7

Si parla di rimozione quando la mente attua un meccanismo di difesa inconscio mediante il quale vengono allontanati immagini e fatti che risultano inaccettabili, mentre si parla di negazione quando il materiale rimosso si riaffaccia e viene fatto oggetto di ulteriore rifiuto, attuando un successivo meccanismo di difesa, sempre, in maniera inconscia.

La nostra mente, il nostro “Io” si muove tra la rimozione e la negazione perché incapace di reggere la verità. Attua in maniera inconscia tale processo per evitare di affrontare situazioni che si presentano complesse, difficili, conflittuali e per potere tutto sommato sopravvivere.

Si tratta appunto di strategie di sopravvivenza inconsciamente attuate per incapacità di reggere all’impatto con immagini o situazioni gravose.

Troppo spesso, però, il nostro Io non riesce a sfuggire, nonostante cerchi di salvaguardarsi dal cadere in condizioni di conflittualità, ed allora c’è un terzo meccanismo quello del diniego, con il quale si nega proprio l’esistenza di ciò che si conosce.

Espressioni di uso molto comune ci fanno cogliere quanto siano a portata di mano tali rifiuti nella nostra quotidianità.

“Chiudere un occhio”, “ mettere la testa sotto la sabbia”, “ mettere una pietra sopra”, “ Dire una mezza verità”, “ non sollevare la polvere”…

Queste per limitarci soltanto ad alcune delle tante espressioni formulate su tali toni di rifiuto, riportate per evidenziare la familiarità di tali frasi tendenti a sottolineare un atteggiamento che nega ciò che esiste e si conosce.

Dal punto di vista del comportamento il più delle volte quando si è in linea con il diniego, si evita di esprimere il proprio pensiero. Ciò si realizza specie dinanzi alla sofferenza degli altri. Si evita di parlare. Restiamo passivi pensando di essere rispettosi, ma in realtà stiamo negando l’evidente, perché non sappiamo come cavarcela.

Senza addentrarci nella sociologia del diniego formulata dal sociologo americano Stanley Cohen, che ha considerato gli stati di negazione per rimuovere il dolore nella società contemporanea, va, però, presa in considerazione questa condizione per comprenderne le variegate sfaccettature nelle nostre comunità umane.

La passività appare il comportamento più comune.

Si può attuare, poi, un atteggiamento di totale indifferenza. Si sentono fatti, dicerie, ma nessuno si addentra nella questione per mettere insieme le notizie ed informarsi sulla fondatezza degli eventi in questione.

Altre volte il diniego si accompagna con le parole, utilizzando molte di quelle frasi citate prima oppure cercando di interpretare gli avvenimenti con espressioni tendenti ad attenuare la drammaticità degli eventi oppure cercando di affermare la propria totale estraneità ai fatti in questione.

Questo del “lavarsene le mani” appare essere il comportamento più frequente e soprattutto quello che garantisce una giustifica dinanzi a fatti spiacevoli.

Ogni tipo di diniego comporta una forzatura psicologica in chi se ne serve, infatti induce ad operare diverse alterazioni sia sul piano cognitivo, che emozionale, morale e quindi comportamentale. Si tratta di falsificare in maniera inconscia quanto è evidente sul piano della consapevolezza.

Questo non rimane una strategia di sopravvivenza del singolo, ma purtroppo diviene lo stile adottato da un gruppo, da una comunità.

Basti pensare alle situazioni che si realizzano molte volte in famiglia dinanzi a comportamenti sessuali poco chiari, o dinanzi alle molestie, all’abuso sessuale, alla violenza, all’alcolismo, alla malattia mentale, alla droga. Tutti sanno e fingono di non sapere fino a quando non esplodono eventi drammatici.

Manca il senso di responsabilità, la sensibilità morale, la compassione, il coraggio, l’altruismo, il sentimento di fratellanza comunitario, il senso civico di solidarietà.

Prevale, invece, l’indifferenza, l’ottundimento emotivo, la freddezza relazionale, l’alienazione, l’apatia, la disarmonia, relegando i componenti del gruppo in una fredda solitudine con non pochi risvolti disumani.

Tali meccanismi di difesa sono ormai di casa nelle nostre comunità umane e ci fanno assaporare il gusto amaro della solitudine, dell’incomunicabilità, dell’impotenza relazionale.

Bisogna comprendere quanto male si sta riversando intorno a noi, per tentare di arginare in qualche modo quel male che si consuma sotto i nostri occhi e non essere soggetti passivi paralizzati dai rifiuti inconsciamente attuati.

Pubblicato in Temi di riflessione

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