Print Friendly

Il potere del danaro

Nella nostra società la competitività sleale, la sete di successo, la ricercatezza nell’apparire costituiscono lo stile di vita di tante persone, e, al tempo stesso, per tante altre il programma da attuare per poter riuscire nella vita ed essere qualcuno che conta.

Al fondo di tutto questo c’è il danaro.

Il danaro appare il primo punto considerato come mezzo utile per acquistare potere, anzi esso rappresenta l’immagine emblematica vera e propria del potere.

L’economia organizzata, le notizie di borsa oggetto dell’informazione, il lavoro osservato soltanto dal lato della produzione certamente ci fanno perdere di vista gli uomini che fanno parte del mondo del lavoro. Essi divengono oggetti, appaiono come semplici strumenti di un ingranaggio disumanizzante.

Quanto meno tu sei, quanto meno realizzi la tua vita, tanto più pensi ad avere.

Quanto più grande è la tua vita alienata, tanto più tendi ad accumulare in cose, oggetti, danaro per colmare il vuoto interiore.

Tutto ciò che il lavoro ti toglie in vita ed umanità, ti viene restituito in danaro e ricchezza e tutto ciò che tu non puoi, può il tuo danaro.

Spendere, fare shopping, comperare diviene molto spesso il modo concreto per avvertire che siamo vivi; nel potere di acquisto esprimiamo in qualche maniera il nostro bisogno di gratificazione, di appagamento interiore.

Tutto questo, però, ci proietta all’esterno di noi stessi, rinviando il vero problema esistenziale.

Tutto questo ha un prezzo e viene pagato in termini di qualità di vita. Veniamo a perdere di vista noi stessi, sentendoci spinti ad assumere comportamenti secondo gli interessi di mercato.

La pubblicità, la moda, le novità della tecnica condizionano il nostro modo di agire, svolgendo una funzione quasi da oracolo dei tempi antichi.

Nel tempo attuale, ci viene suggerito, in maniera evidente o in maniera subdola, di fare acquisti per potere assaporare nell’ebbrezza dell’acquisto la gioia di essere vivi.

Tale logica di mercato ci conquista, spingendoci ad apparire più che ad essere; ci seduce sottilmente proiettando i nostri interessi al di fuori di noi stessi e persuadendoci che il mondo è fatto di cose acquistabili e non più da persone con cui entrare in relazione.

I nostri gesti si mutano in gesti di circostanza, di convenienza, perdono la loro carica espressiva tradendo la nostra reale esistenza.

La gestualità artefatta non dice di noi, ma delle nostre funzioni. Ci tramutiamo in personaggi. Cerchiamo modelli da imitare. Assumiamo l’abito esteriore del personaggio di turno. Restiamo subissati, sopraffatti dai mitici personaggi costruiti artificiosamente nei mondi dello spettacolo, del cinema, dello sport, senza cogliere che sono stelle inconsistenti che brillano quanto lo sfolgorio di un lampo.

Da qui il passo è breve per passare dalla falsificazione dei gesti a quella del linguaggio,   che si colora delle tonalità delle circostanze, delle convenienze, delle opportunità da sfruttare in vista di altra simulazione.

La relazione tra persone si muta in relazione falsata, alterata, in passatempo monotono, ripetitivo, insignificante.

Tale contatto non è in grado di dare un significato al nostro bisogno esistenziale. Si aggiunge vuoto su vuoto.

La ricerca di una propria identità non può essere soddisfatta dal mondo della moda, la ricerca di un proprio equilibrio non può essere soddisfatto dal mondo dello spettacolo, dove tutto è spettacolare, temporaneo, fuori dall’ordinarietà quotidiana. La ricerca della propria affermazione non può essere soddisfatta dal mondo dello sport, dove conta essere primi per riuscire a vincere.

Chi guarderà alla nostra quotidiana realtà in una società distratta, alienata, fuorviata dalla rincorsa al danaro?

Quale protezione da una siffatta aggressione?

Le proposte sociali prevedono per uscire dalla monotonia del routinario: vacanze da brivido, pratiche sportive pericolose, divertimenti trasgressivi, film da tensione continua, svaghi a base di alcool o di spinello, sesso fuori programma.

Tutto per non pensare, per non rispondere al vero interrogativo esistenziale sul senso da dare alla vita.

Si trasmette in fondo l’idea che tutto ciò che esce dal quotidiano è di per sé esaltante.

A questo punto personalità non equilibrate o patologiche spingono al massimo tali messaggi sociali arrivando a rivestire ruoli dannosi per sé e per gli altri.

Senza però affacciarci nel mondo della criminalità, che certamente è quello più ricco di tali rappresentanti, anche il comune contesto sociale quello del lavoro, del gruppo politico, dell’associazione religiosa accoglie personalità strutturate come sopra descritto.

Lì dove il danaro viene a rivestire il ruolo di simbolo del potere, ogni realtà umana s’infrange; dinanzi alla logica del profitto, dell’utile egoisticamente valutato, tutto ha un prezzo, tutto può essere comperato, tutti sono corruttibili.

Non c’è nulla che il danaro non possa fare.

Anche la felicità appare acquistabile. Soprattutto, il nostro umore viene regolato dal conto in banca. Se cresce il nostro deposito bancario, anche il nostro grado di umore va verso l’alto.

Il danaro può portare al delirio di onnipotenza e facilmente spinge alla prepotenza, alla prevaricazione, alla sopraffazione arrogante sugli altri.

Il danaro diviene la lente di ingrandimento attraverso la quale osservare la realtà circostante, esaminare le persone, diviene il mezzo attraverso cui valutare, giudicare le situazioni.

Accade che tutto viene letto in funzione dell’efficienza, del profitto. Le persone vengono considerate in base alla loro tasca, a quanto hanno in beni, in proprietà, in possibilità economiche, più che per loro stesse.

Le istituzioni vengono inquadrate come centri di potere, più che come servizi sociali.

L’associazione, il gruppo acquista importanza in base alla disponibilità economica.

In una società che orienta i propri passi verso una tale direzione, diventa difficile sapersi tenere lontano da una tale veduta dove non c’è assolutamente spazio per tutto ciò che non ha un valore economico.

E’ la dimensione affettiva, esistenziale che viene calpestata da una siffatta mentalità.

In un tale contesto ne esce distrutto l’uomo, che certo non può essere definito da quanto possiede.

Allora dove andare per trovare il vero volto dell’uomo se quello che mostra è soltanto una maschera costruita dalle convenzioni sociali?

Come proteggersi dagli umori frenetici delle borse mondiali?

Dove andare per potersi guardare negli occhi senza la smania di comprare?

 Cosa aiuterà l’uomo ad uscire dalla logica del profitto?

Pubblicato in Temi di riflessione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*