Violenza quotidiana

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Se vogliamo capire la violenza, dobbiamo capire la paura: la paura è quel sentimento che si prova come se fossimo vicino ad un momento di catastrofe per il singolo. La maggior parte di violenza viene espressa su cose care.

Di fronte alla paura sono possibili due modi di reazione: la fuga e la violenza. La fuga non necessariamente è fisica, ma fuga sociale come depressione. E’ fuga per cui non si accetta di stare con l’altro, non si accetta più di stare nel gruppo; quindi è rinuncia, oppure, dall’altro canto, si realizza la violenza, l’aggressività.

La cosa più drammatica della nostra società è che stanno sparendo le idee. Il vuoto di idee è che non so chi sono, non so cosa fare. In questo vuoto è possibile che s’inserisca un gesto di violenza, come affermazione del sé.

Una terza esperienza nella nostra società che può portare alla violenza è la disperazione, la malattia mortale di Kierkegaard. Vuol dire la impossibilità di sperare. C’è un comportamento per cui la nostra azione ha bisogno di identificare un nemico. Si tratta di un pensiero violento da controllare, in quanto abbiamo una cultura del nemico. Il nemico si vince con la violenza. Allora è promossa la lotta dell’uomo sull’uomo, anziché il confronto di idee si assiste, nel nostro tempo, allo scontro violento, il più delle volte, tra uomo ed uomo senza risparmio di calunnie, illazioni, turpiloqui, menzogne. Il nemico va eliminato, distrutto, cancellato.

D’altro canto, ci troviamo dinanzi ad una società dove le relazioni interpersonali risultano vuote, formali, convenzionali, dove il dialogo è superficiale, banale, privo di spessore.

Gli elementi che caratterizzano la nostra società sono:

  1. il consumo dei sentimenti; la mentalità usa e getta;
  2. società iperconcreta, senza futuro;
  3. etica della circostanza.

Una società che si trasforma e va in crisi porta all’interno della famiglia tutti gli elementi della crisi. Il macrosistema sociale trasmette la crisi anche al microsistema familiare. Così anche nelle famiglie si vive poca vita umana.

La famiglia ha quattro funzioni fondamentali:

  • E’ l’area di soddisfacimento di una serie di bisogni, di affetto, di sicurezza.
  • E’ l’area in cui avviene la riproduzione della specie.
  • E’ l’area di trasmissione di valori.
  • E’ una specie di piccola impresa.

Oggi, troppo spesso la famiglia diviene il luogo dell’egoismo, delle nevrosi, dei disturbi della personalità proprio perché vengono meno alcuni aspetti che favoriscono lo sviluppo di tutti i suoi componenti, la coppia prima e i figli poi.

Menzioniamo qui di seguito alcuni di questi aspetti:

  1. Fiducia reciproca profonda (qualunque cosa accada, anche frutto dei miei errori, l’altro non è mai contro di me, pronto ad accusarmi, a prendere le distanze, ma è sempre a me alleato, che con amore è disposto a venirmi incontro).
  2. Stima profonda e condivisa (ciò permette alle due persone d’integrarsi, perché la stima produce mimesi, imitazione e fa sì che i doni, i valori dell’uno vadano verso l’altro; ciò permette all’uno di insegnare all’altro ad essere meno disumano, meno egoista).
  3. Dialogo. Ciò integra la diversità e accetta la diversità come irriducibile; cioè che non tende a livellare la diversità mediante l’imposizione e non crea l’equilibrio dentro la coppia perché l’uno dei due prevale e domina l’altro, ma che accetta la diversità come elemento arricchente, vivendo della diversità dell’altro non avendone paura, anzi godendone.
  4. Lealtà nei rapporti, senza falsificazioni, senza finzioni di sentimenti, senza menzogne unicamente per coprire la propria povertà esistenziale. Falsità che diviene stile di vita per rapportarsi con gli altri, ma che in fondo distrugge profondamente la stima di sé con gravissimo danno alla maturazione della personalità e notevole impedimento al dono di sé.

Dalla lettera apostolica alle famiglie di Giovanni Paolo II al punto 14:

L’amore è vero quando crea il bene delle persone e delle comunità, lo crea e lo dona agli altri. Soltanto chi, nel nome dell’amore, sa essere esigente con se stesso, può anche esigere l’amore dagli altri. Perché l’amore è esigente. Lo è in ogni situazione umana; lo è ancor più per chi si apre al Vangelo. Non è questo che Cristo proclama nel ” suo ” comandamento? Bisogna che gli uomini di oggi scoprano questo amore esigente, perché in esso sta il fondamento veramente saldo della famiglia, un fondamento che è capace di ” tutto sopportare “. Secondo l’Apostolo, l’amore non è in grado di ” sopportare tutto “, se cede alle ” invidie “, se ” si vanta “, se ” si gonfia “, se ” manca di rispetto ” (cfr 1 Cor 13,5-6). Il vero amore, insegna san Paolo, è diverso: ” tutto crede, tutto spera, tutto sopporta ” (1 Cor 13,7). Proprio questo amore ” tutto sopporterà “. Agisce in esso la potente forza di Dio stesso, che ” è amore ” (1 Gv 4,8.16). Vi agisce la potente forza di Cristo, Redentore dell’uomo e Salvatore del mondo.

Quante famiglie sono andate in rovina proprio per il “libero amore”! Seguire in ogni caso il “vero” impulso affettivo in nome di un amore “libero” da condizionamenti, significa, in realtà, rendere l’uomo schiavo di quegli istinti umani che san Tommaso chiama “passioni dell’anima”. Il “libero amore” sfrutta le debolezze umane fornendo loro una certa “cornice” di nobiltà con l’aiuto della seduzione e col favore dell’opinione pubblica. Si cerca così di “tranquillizzare” la coscienza, creando un “alibi morale”. Non si prendono però in considerazione tutte le conseguenze che ne derivano, specialmente quando a pagarle sono, oltre al coniuge, i figli, privati del padre o della madre e condannati ad essere di fatto orfani di genitori vivi.

Riportiamo alcuni disturbi della personalità anche attingendo dalla nostra esperienza consultoriale, a contatto con problematiche familiari di comune riscontro, che possono portare gli individui a comportamenti violenti, aggressivi, asociali con grave danno anche all’interno di gruppi di lavoro, di associazioni, di strutture dove il contributo personale risulta essere fondamentale alla crescita reciproca e alla progettazione comune.

Le descrizioni dei vari tipi di disturbi della personalità qui riportate risultano quelle più utili e più largamente riconosciute presentate nella nona edizione della International Classification of Disease WHO 1978.

Paranoica: personalità nella quale è riscontrabile un’eccessiva sensibilità alle contrarietà e a ciò che è considerato essere un’umiliazione e una mortificazione, nonché una tendenza a distorcere l’esperienza interpretando erroneamente le azioni neutrali o amichevoli degli altri come ostili o esprimenti disprezzo, nonché infine un senso dei propri diritti personali carico di combattività e caparbietà. Può esservi anche una certa tendenza alla gelosia o all’attribuire eccessiva importanza a se stessi. Una persona di questo tipo può sentirsi umiliata e calpestata senza potervi fare nulla; altre persone, allo stesso modo eccessivamente sensibili, sono aggressive e insistenti. In tutti i casi vi è un riferirsi in modo eccessivo a se stessi.

Affettiva: personalità caratterizzata dal predominio di un umore ben marcato, che può essere uniformemente depresso, uniformemente euforico, oppure alternativamente l’uno o l’altro. Nei periodi di euforia è riscontrabile un ottimismo incrollabile e una maggiore voglia di vivere e di agire, mentre i periodi di depressione sono contrassegnati da preoccupazione, pessimismo, bassa emissione di energia e senso di futilità.

Isterica: personalità caratterizzata da affettività superficiale, labile, dipendenza dagli altri, grande bisogno di riconoscimenti e di attenzione, suggestionabilità e teatralità. Vi è spesso immaturità e sotto stress possono comparire sintomi isterici.

Tutto quanto descritto fino ad ora ci lascia intravedere comportamenti violenti, comunque fonte di conflittualità, che si possono evidenziare già nella vita familiare, ma soprattutto nella vita sociale, nelle dinamiche di gruppo o di lavoro o di svago o di condominio o di preghiera o altro.

Non è possibile, come oggi troppo spesso accade, ignorare tali disturbi proprio perché la vita sociale ci porta a relazioni di equipe, a lavori di gruppo, ad impegni da assumersi in gruppo per assicurare la partecipazione responsabile dei singoli componenti. Una società sempre più condivisa, partecipata esige una consapevolezza di tali disturbi della personalità al fine di arginare, contenere, per quanto possibile, all’interno del gruppo, tali manifestazioni alterate.

Lettera alle famiglie n° 23: “La famiglia è il primo ambiente umano nel quale si forma l’uomo interiore di cui parla l’Apostolo. Il consolidamento della sua forza è dono del Padre e del Figlio nello Spirito Santo”.

Il luogo privilegiato per la formazione dell’uomo nella sua totalità, come unità psico-fisica, come tutt’uno di anima e di corpo, come persona è e rimane la famiglia.

Nonostante tutti gli attacchi e le alienazioni, cui assistiamo oggi, i vari tentativi, di sabotare la famiglia facendole rivestire semplicemente un ruolo assistenziale, noi credenti abbiamo il grandissimo compito di mostrare, innanzitutto, con l’esempio di vita, quanto ci è stato donato nel matrimonio vissuto come realtà sacramentale.

L’unione coniugale, per noi credenti, non è un semplice contratto scindibile in qualsiasi momento; essa è fondata sull’amore, che non è certo realtà contrattuale, ma piuttosto realtà spirituale non regolabile con norme e disposizioni legali, dove si sperimenta la grande rivelazione, si svolge la prima scoperta dell’altro come altro da sé, diverso da sé. Tutto ciò non fa paura, non determina smarrimento perché è l’amore che regola la vita della coppia e della famiglia:

“L’amore è la vera fonte dell’unità e della forza della famiglia” [L.F. n° 20]

E’ nella famiglia che s’impara il dono di sé, attraverso l’esempio dei genitori, della coppia, che in forza della vita sacramentale, scoprendo la propria finitezza, si propone all’altro senza l’arroganza dell’autosufficienza, del presunto bastare a se stesso; l’altro non è un puro oggetto manipolabile in base agli impulsi emozionali dell’egoismo, ma è persona che liberamente si dona.

“Mediante la concupiscenza l’uomo tende ad appropriarsi di un altro essere umano, che non è suo, ma che appartiene a Dio” [ L.F. n° 20].

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