Dio e la paura dell’uomo
Nella nostra paura formiamo un’immagine e questa immagine la chiamiamo Dio.
[dal film di Ingmar Bergman “Il settimo sigillo”]
God is a concept by which we measure our pain [J. Lennon “God”]
Dio è un concetto con il quale misuriamo il nostro dolore
Nessuno mi aveva mai detto che il dolore assomiglia tanto alla paura.
[C.S. Lewis “Diario di un dolore”]
Tre espressioni, queste, di uomini le cui vite si sono svolte secondo direzioni diverse, ma sempre nel mondo artistico: un regista, Ingmar Bergman, un cantautore John Lennon ed uno scrittore Clives Staples Lewis. Interessante è cogliere come sia l’uomo al centro di tali affermazioni.
Nella prima Dio viene sbozzato nel mondo dell’immaginativa, nella seconda elaborato come concetto nella sfera della ragione. In ambedue i casi è indicata la paura come l’elemento capace di generare qualcosa fuori dall’uomo e di superiore, creato dall’immaginazione o dalla ragione.
Nella terza espressione, dove non c’è nessun riferimento a Dio, viene, però, suggerito un collegamento importante tra paura e dolore. Tale collegamento viene espresso come risultato di una profonda ed intensa esperienza personale da C.S. Lewis.
Il dolore, molto simile alla paura provoca sofferenza nell’uomo.
Da qui il grande interrogativo che l’uomo si pone sul perché della sofferenza e la necessità di creare un Dio che dia un senso a tutto questo. E’ un Dio che aiuta a venir fuori dalla paura e dal dolore offrendo una chiave di lettura al nostro vivere qui sulla terra.
Divinum est sedare dolorem! Gli antichi esprimevano come intervenire sulla sofferenza dell’uomo fosse andare al cuore del problema dell’uomo e come fare questo non potesse essere che un’opera divina.
Nell’affidarsi all’immaginativa c’è da dire che l’immagine ha in sé lo svantaggio di essere pronta a fare tutto quello che vogliamo, per cui concepire un dio secondo questo canale significa in fondo coltivare una sorta d’illusione, secondo ciò che chiede il nostro umore. E’ una marionetta di cui reggiamo i fili. La fatale obbedienza dell’immagine, la sua insipida arrendevolezza, inevitabilmente cresceranno ma non ci salveranno, non ci libereranno da nulla. Le immagini hanno una loro utilità, o non sarebbero così diffuse (non fa differenza che siano dentro o fuori la mente, ritratti e statue oppure costrutti dell’immaginazione).
Secondo le affermazioni considerate è più evidente il loro pericolo. Le immagini del Sacro diventano facilmente immagini sacre, sacrosante. La mia idea di Dio non è un’idea divina. Deve essere continuamente mandata in frantumi. Certo nella storia dell’umanità la religione ha potuto essere un prodotto dei nostri appetiti inconsci e insoddisfatti ed anche un surrogato del sesso.
La fede è un’altra cosa non è un’immagine, non è un concetto, non è una consolazione: è un’esperienza concreta nella vita degli uomini; è un avvenimento che si realizza nella storia delle persone; è una liberazione.
Cfr. Ebrei 2, 15 “e liberare così quelli che per paura della morte erano soggetti a schiavitù tutta la vita”.
Sapienza 2, 24 “Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza colore che le appartengono”.
Romani 8,15 “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”.
Tale liberazione si attua per un’ esperienza di tenerezza, non in un’affermazione di potenza; si realizza nel cuore dell’uomo, cioè nella centralità della vita di un uomo.
La fede è l’incontro con una persona, con Cristo, con l’amore di Cristo. Fin quando non sperimentiamo tale evento nella nostra vita non possiamo passare alla gioia. Siamo incupiti dalle preoccupazioni, dall’ansia, da tutto ciò che sfugge al nostro controllo. Non abbiamo un cuore puro che ci consente di vedere Dio nel creato, negli altri, scorgendolo pure nei nemici. Lasciare che in noi viva Cristo, lo Spirito di Cristo, che ci offre una opportunità di andare aldilà dei nostri limiti. Possiamo restare ancorati a noi stessi ed allora in noi si spegne ogni realtà di vita, ricadendo nella paura.
La possibilità che nella fede ci viene offerta gratuitamente é di non ritornare al nostro cuore incentrato su noi stessi, perché siamo tutti peccatori e non vedremmo altro che i nostri limiti, i nostri peccati, vedremmo soltanto i limiti negli altri cadendo nel giudizio, nel pregiudizio, nel disprezzo degli altri.
La purezza di cuore consiste nel sentire l’amore di Dio, di cui abbiamo fatto esperienza nella nostra storia, come la bussola che orienta i nostri passi. L’uomo pastore del suo destino (Heidegger), l’uomo faber fortunae suae, ha smarrito la strada, si è trasformato nel corso della storia in un cieco incapace di vedere al di là delle cose, in un sordo incapace di ascoltare, in uno zoppo paralizzato nelle membra, incapace di camminare speditamente. La vera cecità consiste nel non riuscire a vedere che l’altro è Cristo stesso … [Beati i puri di cuore perché vedranno Dio Mt 5, 8]
La vera sordità consiste nel non riuscire ad ascoltare nella storia quotidiana la voce di Dio, cogliere la sua presenza il suo passare nella vita di ogni giorno che non viene nel rumore assordante della città [il passaggio di Dio nella vita del Profeta Elia (I Re 19, 11-14): passò un vento impetuoso e Dio non c’era; dopo ci furono terremoti e Dio non c’era; venne il fuoco e Dio non c’era, e dopo “si udì” il mormorio di una brezza lieve e soave e Dio si manifestò al Profeta, il quale, di fronte alla presenza del Signore, si coprì il volto].
La vera paralisi che blocca il nostro corpo sta nel non riuscire ad andare incontro all’altro perché visto come un nemico, uno che ci impedisce di essere in qualche modo al centro della vita; la vera paralisi è non avere compassione, è non avere viscere di misericordia per la condizione umana, avendo sempre un giudizio velenoso sugli altri. [Il samaritano della parabola di Luca 10, 30- 37 va incontro all’uomo che giace mezzo morto al bordo della strada per compassione].
L’amore di Dio vince tutto questo, aiutando ognuno di noi ad entrare in dialogo con le nostre paure e incoraggiandoci ad andare oltre, aldilà, del nostro limite, rendendoci capaci di incontrare l’altro e di amare l’altro così come è.
Tutto questo non si realizza nel mondo dell’immaginativa o nello spazio della ragione, ma investe tutto l’uomo nella sua storia concreta di ogni giorno fatta di relazioni.
Per concludere, la fede, di cui sopra abbiamo delineato un profilo, aiuta a vivere relazioni qualitativamente significative e improntate alla benevolenza, perché nasce dall’incontro con una persona speciale che è Cristo.
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