Caino colpisce ancora

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L’uomo è stato definito nella cultura classica come un animale razionale, ma, oggi, in base alla storia della vicenda umana, andrebbe visto come un animale affettivo o sentimentale.

Quale desiderio è presente nel profondo del cuore dell’uomo?

In fondo al cuore si trova il desiderio di essere primo per qualcuno, di poter contare nella vita di qualcuno, di poter essere unico, l’unico in modo pieno, assoluto.

Questo bisogno esistenziale ci pone in una condizione particolare, che viene ad oscurare qualsiasi razionalità, qualsiasi ragionamento, viene a rompere qualsiasi equilibrato sentire. Ognuno vuole affermare se stesso.

Ognuno vuole giungere ad amare se stesso e basta, travalicando gli altri, oscurando gli altri, distruggendo gli altri.

Appare quasi mostruoso tutto questo; appare perverso concepire l’uomo da questa angolazione.

Eppure, dopo avere soddisfatta la fame, ed oggi, nel nostro mondo dell’opulenza si fa presto a soddisfarla, appare la vanità, il bisogno d’imporsi agli altri, di sopravvivere negli altri.

Tale vanità ci costringe a misurarci con gli altri per poter sopravvivere in un contesto sociale dove ognuno tende ad affermare se stesso a discapito degli altri.

Amare se stessi appare come l’amore difficile, perché o risulta essere l’unica realtà che oscura gli altri sopraffacendoli o viceversa risulta una realtà mortificata dalla sopraffazione degli altri.

Da qui non si può sfuggire ed è la stima di sé ad essere compromessa seriamente con gravi conseguenze relazionali.

Il misurarci con gli altri ci porta all’invidia, non in maniera generica, ma a guardare con sospetto e con diffidenza colui che ci cammina accanto, il nostro prossimo.

L’invidia è il peccato delle origini e secondo la Sacra Scrittura è nel racconto del Genesi che il demonio sotto forma di serpente afferma mentendo: “Dio sa che quando voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”.

L’umanità viene lanciata mediante la menzogna nel dubbio che Dio non abbia creato per amore, ma in fondo nutrendo un sentimento d’invidia per l’uomo; il divieto di mangiare dell’albero al centro del Paradiso terrestre da parte di Dio nascerebbe non da un sentimento di amore ma piuttosto da un sentimento d’invidia che Dio nutre per la sua creatura.

Da allora ogni limite, qualsiasi esperienza di limite verrà vissuto come un tragico evento che cancella qualsiasi realtà di amore. La storia personale apparirà essere priva di qualsiasi amore ed immersa in un contesto di invidia, di gelosia.

Il racconto del Genesi continua rinforzando tale esperienza dell’umanità attraverso Caino ed Abele. La relazione dei due fratelli si guasta per invidia e sfocia nel delitto consumato da Caino nei confronti del fratello minore Abele perché quest’ultimo e le sue offerte erano gradite a Dio.

Caino entra nella tristezza e nell’ira perché non è il primo agli occhi di Dio. Uccide per occupare il primo posto, per essere gradito a Dio non esita a colpire il fratello.

L’invidia diviene, in questo modo, più terribile della fame, perché è una fame spirituale. La conflittualità di relazione viene posta dalla Sacra Scrittura nel desiderio di primeggiare.

Quando sarà risolto il problema del pane, la terra sarà sommersa dal problema della sopravvivenza sugli altri, dal bisogno di essere superiori agli altri.

Per Meister Eikart e nella spiritualità dei padri si fa strada la seguente riflessione:

«Conduco la vita nella tristezza, perché provo invidia per chi se la passa bene sia santo o malvagio, sia puro o impuro, sia onesto o empio. Sono invidioso, perché amo troppo la vita per non essere egoista e vedere nella gioia degli altri o nel sorriso degli altri la mia condanna all’infelicità. Vedere infrangersi sul volto degli altri ogni mia possibile soddisfazione, essere condannato alla tristezza: ecco la morte; ecco ciò che conferisce potere alla morte e mi condanna all’infelicità più totale».

Questo avviene nell’esperienza del singolo, ma anche nell’esperienza comunitaria accade qualcosa di analogo che si traduce in una grigia e formale convivenza.

Il gruppo a volte viene ipotizzato come un collettivo ideale dove vige l’uniformità e il livellamento. Il gruppo deve avvolgere non soffocare; deve permettere il sorgere di forti personalità, non rendere loro l’atmosfera irrespirabile. In nome di un generale livellamento a volte vengono emarginate parecchie spiccate personalità, si dà spazio alle formiche di divorare il leone, alla mediocrità di mortificare la magnanimità

Ogni gruppo che vive nell’aggressività omicida di Caino tende a ricercare un capro espiatorio per consegnargli tutte le negatività, le contraddizioni, le incoerenze di cui è capace e di cui non vuole riconoscere la paternità. C’è intolleranza verso il diverso perché inquadrato come uno che attenta alla vita del gruppo; la diversità pone interrogativi e stimoli che inevitabilmente spingono ad uscire fuori da se stessi, da una visione rigida e da uno sterile fissismo dettati unicamente dall’egoismo.

La vera dimensione umana si realizza lì dove c’è apertura all’altro non per fagocitarlo, assimilarlo, per neutralizzarne la diversità, ma piuttosto per valorizzarne le peculiarità, gli aspetti che lo caratterizzano riconoscendone in maniera obiettiva pregi e difetti, limiti e virtù per intrattenere una relazione che non tende alla fusione, ma alla condivisione. Ogni realtà fusionale ha in sé una carica mortifera, che raggela, rende sterile e infruttuoso qualsiasi tentativo relazionale.

Ogni società chiusa (una coppia, una famiglia, una scuola, una comunità, un partito, un club o altro) viene condannata alla sterilità e alla violenza relazionale se non accetta la parola come unico mezzo per incontrarsi.

Gli uomini si umanizzano mediante relazioni costruttive tra persone diverse, che si accettano e si rispettano nella diversità. L’altro è sempre diverso da me, è altro da me.

La violenza che sopprime l’altro nell’enfatica affermazione di sé ha bisogno di cedere il passo al confronto da vivere nel dialogo, allo scambio relazionale.

Una comunità è veramente umana se accetta di soppiantare la violenza con il dialogo. La parola ha in sé la capacità di fare entrare in relazione, di appianare conflitti e incomprensioni, di creare scambi proficui per una crescita comune.

All’invidia di Caino per occupare il primo posto, all’omicidio tra fratelli è senz’altro una risposta accettare di non cedere alla menzogna, alla slealtà. Una perversione della parola è la menzogna, che alimenta confusione, crea illusione, falsità, rinforzando violenza ed aggressività.

Nella Scrittura Gesù ci presenta Satana come omicida e padre della menzogna, proprio per metterci in guardia dai tranelli seminati sul nostro cammino. Come uomini che fanno esperienza di comunità non possiamo tralasciare tali aspetti radicati nella storia dell’umanità. Come persone riunite in ambiti comunitari non possiamo trascurare di guardare la nostra realtà per potere costruire ambienti più umani, più autentici dove vivere e soprattutto realizzare la nostra dimensione relazionale.

Una relazione sia in una coppia, in famiglia, in comunità, in un gruppo si regge e si alimenta in forza del dialogo, della parola pronunciata in semplicità, in lealtà, in verità. Le relazioni si nutrono di dialogo fatto di sentimenti, di comunicazione profonda.

Il dialogo non è resoconto di fatti, elencazione sterile di episodi, ma piuttosto è lettura appassionata, partecipata di avvenimenti inquadrati dal proprio punto di vista.

Così il dialogo diviene occasione di rivelarsi all’altro, di manifestare il proprio mondo interiore all’altro, di comunicare il proprio vissuto per donare all’altro qualcosa di sé.

Quanta disattenzione viene posta nel nostro mondo attuale al dialogo!

Si realizzano più facilmente fuggevoli incontri, formali scambi, false rivelazioni anche negli ambienti protetti, nei quali andrebbe invece privilegiata la comunicazione profonda.

Nelle famiglie di oggi troppo spesso viene disatteso quel modo di rapportarsi costruttivo e umano, privilegiando la solitudine, il non dare fastidio, lo sviluppo individuale alla crescita promozionale.

Avere spazi dove lasciare risuonare, lasciare riecheggiare gli avvenimenti diviene esigenza esistenziale; altrimenti il nostro equilibrio si altera, frana sotto la spinta e le pressioni esterne, travolgendo emozionalmente, emotivamente tutto il nostro mondo interiore.

In questo modo qualcosa di noi muore, viene uccisa dentro di noi la dignità di persona, viene soffocata quella dimensione relazionale che ci può far sentire realizzati, valorizzati. Usciamo seriamente sconfitti come uomini; usciamo condizionati dalle mode del momento e dalle linee di potere dettate dai notabili di turno.

Nella nostra società dell’opulenza Caino colpisce ancora.

Chi fermerà Caino?

Cosa fermerà Caino?

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