L’affettività: quanti paradossi

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Tutti noi abbiamo un problema affettivo: vogliamo essere amati, coccolati, gingillati, riconosciuti, ricoperti di premure, essere al centro dell’attenzione. Tutto questo è scritto nel cuore dell’uomo, profondamente.

Nella realtà di coppia c’è questa dimensione affettiva, che viene manifestata richiedendo all’altro di soddisfare queste esigenze naturali, racchiuse nel cuore di ciascuno dei due; questo, però, a lungo andare, non costruisce un saldo e maturo rapporto.

Tutto ciò non può durare, perché inevitabilmente i fatti, le persone ci fanno sperimentare che c’è un limite in noi che è l’incapacità ad essere rifiutati, contestati, criticati, essere messi in minoranza, essere scoperti in errore.

In tali circostanze il nostro affetto non riesce a dare una risposta dinanzi al rifiuto, alla critica mossa dall’altro.

Sperimentiamo, perciò, che la disponibilità ad andare incontro all’altro arriva fino ad un certo punto, fino a quando l’altro è comprensivo, è carino con me, ma quando interviene l’incomprensione o il contrasto non sappiamo andare oltre.

Ci difendiamo, ci agitiamo, accusiamo la storia, gli altri.

Ci comportiamo in maniera infantile, protestando, accusando, sentendoci alle strette urliamo, perché non siamo disposti ad ascoltare, aggrediamo per non essere aggrediti, accusiamo per non essere accusati, affermiamo noi stessi, protestiamo la nostra innocenza per non apparire colpevoli.

L’affetto genera tutto questo; ci lascia muovere in una realtà emotiva, emozionale che ci fa sperimentare un limite enorme che è l’incapacità ad offrirsi all’altro.

Dio ci chiama all’Amore, ad essere felici donandoci all’altro. La vita matrimoniale, nel sacramento, ci chiama a questo.

Amare qualcuno significa avere un amore di benevolenza, di pensare bene dell’altro, di volere il bene dell’altro, senza finzioni, senza sotterfugi, senza inganni.

L’affetto è sempre un modo cattivo di amare, in fondo è tendere lacci nevrotici, in cui appare chiaramente un egoismo, un essere ripiegati su se stessi, un aspettare per se stessi elogi, riconoscimenti, consensi. In fondo è un possedere gli altri, un dominare gli altri, un servirsi degli altri per costruire se stessi.

Le crisi di coppia si generano su questo punto. Siamo progettati per amare, per donarci, ma c’imbattiamo nell’incapacità, nell’impossibilità di donarci, di andare all’altro oltre il limite, oltre la morte ontica. Non siamo cattivi, siamo ingannati, dividiamo il mondo in buoni e cattivi secondo uno schema infantile, uno schema religioso naturale.

Dinanzi a questa realtà di tutta l’umanità c’è urgenza di annunciare con forza che Cristo ha vinto la morte.

Egli ha reso possibile, in forza del Suo Spirito, per noi così fragili incontrare l’altro quando ci è nemico, ci ha donato tutto se stesso perché capissimo che solo l’amore di Dio ci offre la capacità di donarci.

Nella nostra affettività, sbagliamo enormemente perché profondamente convinti di essere amabili soltanto se siamo perfetti.

Ogni volta che sperimentiamo che non siamo perfetti entriamo in un circolo di accuse, ritorsioni, ricatti, ribellioni che generano in noi e negli altri una sofferenza indicibile.

Nella nostra esperienza umana ci accade di coprire con maschere le nostre carenze per paura di mostrarci per quello che siamo.

“Ho avuto paura perché sono nudo, e mi sono nascosto”. [ Gen. 3, 10 ]

Tutto ciò scaturisce dall’avere accolto nella nostra vita la menzogna primordiale:

“Non morirete affatto!” [ Gen. 3, 4 ]

Ecco l’inganno seminato nel profondo del nostro cuore!

Quando sperimentiamo che qualcosa finisce in noi, quando c’imbattiamo nel nostro limite, nella nostra incapacità, quando tocchiamo con mano la morte dell’essere, andiamo in crisi, non siamo più disposti ad incontrare l’altro.

Non ci accettiamo e se non ci accettiamo non possiamo amare l’altro, non possiamo donarci.

Nel fondo pensiamo che se ci presentiamo all’altro con la nostra debolezza, veniamo disprezzati; in qualche modo abbiamo fatto esperienza di questo, in famiglia.

Ci hanno detto: “comportati bene e ti vorrò bene” presentandoci la relazione come una conquista, come il frutto di un merito.

Così abbiamo imparato ad avvicinarci all’altro rivestiti di potere, di bontà, rivestiti di quello che gli altri volevano per noi pur di non morire, di non essere rifiutati.

In fondo con questo problema seminato nel nostro cuore, troppo spesso, le nostre relazioni sono un ricercare noi stessi; attraverso il consenso degli altri stiamo cercando la stima di noi stessi, di occupare un posto nella considerazione degli altri, non un posto qualsiasi ma il primo posto. Tutto ciò ci spinge ad esigere, ad esplorare il mondo dell’altro senza essere disposti a trattare, a patteggiare, a realizzare un’intesa; tutto ciò ci mette in una paura, in una diffidenza verso l’atro, che in qualche modo può giocare un ruolo negativo sul nostro equilibrio affettivo, sempre molto fragile, molto instabile.

Allora bisogna mentire, barare, farsi furbi, bisogna ingannare, bisogna fare una serie di cose per avere l’amore dell’altro, la comprensione dell’altro.

L’affetto umano per quanto incondizionato, radicale e definitivo voglia essere, è accompagnato da una riserva segreta: la paura dell’amante di non essere all’altezza dell’amato, la paura che l’amato possa rifiutare l’amore, la paura terribile di amare uno che alla fine potrebbe risultare indegno del proprio amore, il timore di non riuscire ad amare in modo incondizionato, l’interrogativo sulla durata dell’amore, il dubbio che sia un’emozione, un capriccio passeggero. Ciò è inevitabile, perché l’affetto umano si muove su un terreno fragile in cui tutto passa; ma al tempo stesso porta in sé l’anelito a qualcosa di definitivo, aspira ad essere incondizionato.

L’amore racchiude in sé tanti paradossi ed il primo è che diventiamo amabili se ci presentiamo all’altro nella nostra povertà esistenziale, nella nostra nudità esistenziale senza maschere, chiedendogli di completare ciò che manca al nostro essere.

Troppo spesso si ha la percezione di non incontrare che individui contraffatti e travestiti di umanità, ma non persone vere, autentiche. Si tratta, cioè, di uomini capaci di esprimere quanto hanno elaborato nel loro cuore, senza riserve, non rivolgendosi alla menzogna e all’orgoglio, ma promuovendo la rivelazione di sé.

Altro paradosso dell’Amore è quello dell’ospitalità: fare spazio all’altro, creare del vuoto perché l’altro sia libero di dire, entrare e uscire, muoversi e insieme offrire i suoi doni. Questo è molto difficile perché l’educazione ci porta alla competizione, a fare dei calcoli, a cercare dei risultati, a vivere nell’impazienza, ad avere paura del vuoto, a possedere per sé, a dare ma nell’attesa della contropartita, a ospitare ma soffocando di parole e di cose per fare bella figura.

Altri aspetti ancora vanno evidenziati. Vogliamo parlarne insieme il 5 Maggio 2002 ?

La famiglia è la scuola dell’umanizzazione. “C’è poca vita umana nella Famiglie dei nostri giorni” dice il Santo Padre nella L.Fal n° 10.

Se un uomo e una donna si lasciano guidare dallo Spirito di Cristo il matrimonio cristiano diventa annuncio al mondo di vittoria sulla morte dell’egoismo, dell’affetto, diventa resurrezione perché passaggio all’Amore, alla vita, al benessere della coppia.

“All’essere umano non bastano rapporti puramente funzionali. Ha bisogno di rapporti interpersonali, ricchi di interiorità, di gratuità, di oblatività.

Tutta la grande rete delle relazioni umane scaturisce e continuamente si rigenera a partire da quel rapporto con cui un uomo e una donna si riconoscono fatti l’uno per l’altra e decidono di fondere le proprie esistenze”.

Desideriamo riflettere insieme su tali contenuti Domenica 5 Maggio 2002

Ti aspettiamo!

L’equipe del consultorio

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