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RU 486: la pillola abortiva

Ad ottobre 2002 si è tornati a parlare di RU 486 per una sperimentazione da avviare su 400 donne dell’Ospedale ginecologico “S.Anna” di Torino, con il consenso del Comitato sanitario etico Regionale del Piemonte.

La RU 486, altrimenti detta “pillola del mese dopo”, è in realtà una coppia di pillole, di cui la prima priva il bambino di cibo ed aria determinandone la morte e la seconda ne provoca l’espulsione dall’utero materno.

Una tale sperimentazione non può essere una conquista del progresso scientifico, poiché ogni atto medico diretto ad intervenire in materia di sessualità e di riproduzione è consentito solo al fine di tutelare la salute (art. 40 legge 194/ 78); cioè la condizione di benessere fisico- psichico della persona (salute) deve essere tutelata senza discriminazioni di età (anche dei piccoli concepiti ?) sesso, razza e condizione sociale, secondo la Costituzione Italiana e la Deontologia medica (art. 34 C.I.  e art. 3 C.D.M.).

Proprio in questi giorni l’amministrazione Bush, attraverso il Comitato Consultivo Federale, che tutela il benessere fisico- psichico delle persone volontarie che si sottopongono a sperimentazione clinica, ha esteso tale protezione anche agli embrioni umani, riconoscendoli come “soggetti umani” alla pari dei bambini e degli adulti. Tale posizione sull’embrione come si coniuga con l’ammissibilità etica della sperimentazione clinica della RU 486 come mezzo abortivo? Non viene tutelata la salute della donna – madre per i seri effetti collaterali, né quella dell’embrione – figlio, poiché si ha la morte dello stesso.

La legge 194/ 78, detta anche legge sull’aborto, ma più specificamente definita come “norme per la tutela sociale della madre e per interruzione volontaria della gravidanza”, all’art.40 afferma che “ il medico è tenuto a fornire ai singoli ( madre non presente in coppia ) e alla coppia ogni corretta informazione in materia di sessualità, riproduzione  e di contraccezione”;  per il diritto ad una corretta informazione  e per ottenere il consenso informato va precisato che tanti contraccettivi sono in realtà “contragestativi” cioè farmaci che interrompono la gravidanza (o gestazione) quando è già iniziata, sia dai primissimi giorni di vita del bambino ( vedi pillola del giorno dopo ) o già concepito fino a due settimane di vita  ( vedi RU 486, minipillola ), terminando in un aborto farmacologico, i cui effetti soppressivi non sono diversi   da un aborto chirurgico.

Il Comitato Nazionale di Bioetica nel suo documento “ Identità e statuto dell’embrione umano” del 28/06/96 afferma di essere unanimitamente pervenuto a riconoscere che l’embrione umano ha diritto di essere trattato come una persona , cioè nel modo in cui si conviene che debbano essere trattati gli individui della nostra specie sulla cui natura di persone non vi sono dubbi”. Tali considerazioni richiedono urgentemente uno statuto anche giuridico dell’embrione umano e l’autonomo diritto alla vita del nascituro, augurandogli che non ci saranno più prevaricazioni sul più debole; ciò richiama alla mente il riconoscimento dello status di uomo anche per i negri nel 1880 negli U.S.A. con l’abolizione della schiavitù. Pertanto si può oggi affermare senza forzature che l’embrione umano è oggi lo schiavo del XXI secolo (Mario Palmare , docente di filosofia del diritto all’Università di Milano). La stessa obiezione di coscienza (art. 9 L. 194/78) può essere espressa per l’interruzione di gravidanza sia tramite aborto chirurgico (per aspirazione o estrazione del bambino dall’interno dell’utero) per l’aborto farmacologico (pillola del giorno dopo, RU 486, mini pillola, prostaglandine e vaccini), poiché la gravidanza inizia dal momento della fecondazione  (secondo la definizione  data da tutti i vocabolari della lingua italiana e i manuali scientifici di ostetricia e ginecologia e nella pratica clinica ginecologica) .

Tali argomenti vanno compresi anche al di fuori del personale sanitario perché nessuno può essere sottoposto ad un trattamento medico senza essere messo in condizione di sapere sia di cosa si tratti  e sia di quali ne siano i probabili effetti. Ciò vale per il consenso informato del paziente che va inteso per “ corretta informazione in materia di sessualità, riproduzione e contraccezione (art. 3, L.194/78).

Va quindi usato un linguaggio sincero, chiaro e scientificamente corretto: nel caso della RU 486 va detto che è un mezzo abortivo e che una volta assunta la prima pillola non si può più ritornare indietro sulla propria decisione, in quanto al bambino è stata tolta la possibilità di nutrirsi e quindi deve seguire la fase di espulsione; e se la RU 486, una volta superato il periodo di sperimentazione, sarà distribuita al di fuori degli ospedali, verrà superato il “filtro” previsto dalla legge (art. 4 e 5 L.194/78) che prevede un colloquio con il medico, un’attesa di sette giorni tra la decisione comunicata al medico e l’appuntamento seguente per intervenire con l’aborto chirurgico, un possibile intervento consultoriale per poter risolvere le cause  che hanno portato alla decisione abortiva, eventuali colloqui con psicologi, genetisti e quante altre figure professionali possano svolgere un ruolo di aiuto alla madre e al figlio.

Appare evidente che in questo modo si vuole sganciare l’aborto farmacologico dalla disciplina della legge 194 che  contiene , comunque, un sia pur debole filtro prima della decisione abortiva; ma sarebbe ancor più auspicabile che si possa parlare di madri, anziché solo di donne e di figli non solo di embrioni e che se  il farmaco funziona è perché uccide.

Non nascondiamoci la verità dietro le parole e non nascondiamola neanche ai padri, che non hanno diritto di parola e non possono neanche esprimere il proprio dissenso sulla decisione abortiva; secondo la legge i padri non sono presi in considerazione se desiderano che il proprio figlio possa continuare a vivere visti solo come “colpevoli di concepimento”.

La responsabilizzazione e quindi la conoscenza corretta della questione abortiva non deve essere evitata affermando di causare turbamenti nelle persone; il malato di cancro (il malato grave)deve essere informato correttamente dal medico, anche se ciò può gettarlo nell’angoscia più devastante.

Perché non dire la verità alle donne- madri e ai padri, quando proprio questa verità potrebbe aiutarli per decidere consapevolmente? Le donne non sono incapaci di decidere di fronte alla verità e non sono incapaci di assumere decisioni coraggiose. Non conosce le donne chi pensa che non sia possibile fare emergere in loro il coraggio di accogliere un figlio. Molti  amatissimi figli, molti di noi, non ci saremmo se le nostre madri, al primo dubbio, avessero avuto tra le mani due pillole e un bicchiere d’acqua.

La cultura della denatalità è divenuto il fondamento di tutte le politiche mondiali, dallo sviluppo dell’ambiente alla sanità; infatti, l’adozione di rigide misure per il controllo delle nascite da parte dei singoli Paesi, viene considerata come una normale condizione richiesta per l’erogazione di aiuti allo sviluppo ma anche di aiuti umanitari, dai singoli Paesi ma anche dalle agenzie multinazionali (Banca mondiale, Fondo Monetario Internazionale e le varie agenzie ONU: UNPD, UNFRA, ACNUR; UNICEF, OMS etc.)  Ad esempio, è ormai diventata una consuetudine che per gli aiuti di emergenza come accaduto di recente nelle disastrose alluvioni in Bangladesh e in America centrale, venga posta la condizione della sterilizzazione.

Nel 1999 il Fondo della Nazioni Unite per la popolazione (UNFRA)ha versato 177 milioni di dollari (circa 400 miliardi delle vecchie lire) per sostenere 123 progetti di diverse province cinesi per realizzare “politiche demografiche su larga scala” che in pratica sono politiche coercitive per il controllo delle nascite dal 1979 in Cina tramite aborti forzati (anche fino al nono mese) pesanti multe, perdita del lavoro e dei servizi sociali (acqua, luce e  casa), aborto selettivo delle bambine poiché vengono preferiti per motivi culturali ed economici i figli maschi (secondo stime attendibili mancherebbero oggi circa 30 milioni di bambine all’appello) [Riccardo Calcioli: Diritto alla vita, un assedio internazionale/ Sain D. Aird: Coercitive birth control in China (Enterprise Institute Washinton 1990)].

Diventa perciò ovvio che la diffusione dell’aborto a livello mondiale sia uno dei capisaldi di tali politiche, e non si parla solo di aborto chirurgico: la recente spinta nei paesi occidentali all’approvazione della RU486 e della pillola abortiva del “giorno dopo” è un esempio lampante. Oltretutto si evidenzia così un ulteriore scopo di tali politiche: introdurre le adolescenti all’aborto evitando di chiedere il consenso ai genitori (Inghilterra, Darty, Agosto 2001 in un centro giovanile, un progetto pilota permette all’infermiere di distribuire la pillola del “giorno dopo” alle 12 enni senza il consenso dei genitori) appare chiaro come sia indebolito il ruolo e la responsabilità dei genitori. Va detto che, secondo dati forniti dal Ministero della sanità, in Italia dal 78 al 99 gli aborti legalizzati furono 3.819.383, più circa 840.000 aborti clandestini; a questi vanno aggiunti circa 4.600.000 per gli aborti procurati con mezzi farmacologici e quanti altri ancora non dichiarati ci saranno con la RU 486? Aborti facili, precoci, mascherati e nascosti.

Eppure… eppure aborto procurato (chirurgicamente o farmacologicamente) è una pratica delittuosa conosciuta da tempi molto antichi: secondo codici e leggi risalenti a parecchi secoli prima di Cristo, l’aborto come il furto e l’omicidio degli adulti, rappresenta uno dei reati più antichi della storia dell’uomo e sempre sanzionato in modo severo per scongiurare l’uccisione del concepito.

Eppure… eppure negli ultimi quarant’anni si è assistita ad una trasformazione che non conosce precedenti, da che l’aborto era un reato molto grave da perseguire in tutti i codici   (varati da giuristi laico- liberali) ciò che prima era considerato un delitto è stato trasformato negli anni ’70 in DIRITTO e la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica ha mutato radicalmente opinione passando dalla condanna senza eccezione al riconoscimento di questa pratica da parte dello stato.

Se la Chiesa, nella Didachè o dottrina dei dodici apostoli (70- 90 d.C.), dice alle madri di non uccidere il figlio con l’aborto, il giuramento di Ippocrate (V secolo a.C.) fa giurare ai medici di non procurare l’aborto, e Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae , documento importante per rilevanza giuridica prima che teologica, condanna l’aborto come atto omicida, non solamente come peccato ma come vero e proprio delitto e viene ricordato ai credenti e ai non credenti che uccidere l’innocente è un orrendo crimine, che resta tale anche se una legge civile dice al contrario. Dolce è ricordare Luca 1, 41- 43 nel cui vangelo, Giovanni, piccolo feto di sei mesi nell’utero di Elisabetta, esulta riconoscendo Gesù embrione di pochi giorni da poco annidato nel grembo di sua madre Maria; quanta importanza e quanta grandezza di questi piccoli concepiti e quindi per ogni piccola vita umana.

All’inizio del suo pontificato Giovanni Paolo II insieme con i vescovi invitava tutti i credenti a non rassegnarsi al fatalismo né alla sterile condanna dell’aborto: “I centri di aiuto alla vita e i consultori di ispirazione cristiana siano strumenti privilegiati nella lotta contro la mentalità abortiva”; e nell’E.V. sempre il Santo Padre propone il grande rispetto per i valori della vita e della sessualità e dell’amore nella scrupolosa fedeltà alla verità dei fatti: coniugare, quindi, libertà di informazione, rispetto di ogni persona e un profondo senso di umanità.

Richiamando alla mente il Salmo 71, 5- 6 “Sei Tu Signore la mia speranza, la mia fiducia fin dalla giovinezza; su di Te  mi appoggiai fin dal grembo di mia madre, Tu sei il mio sostegno”, si ricorda che i consultori cristiani e i centri per la vita possono offrire sostegno e speranza a chi soffre e a chi ha un dubbio angoscioso.

In tal senso, appare la proposta di legge dei consultori di ispirazione cristiana (240 strutture che si affiancano alle oltre 1000 pubbliche) per rendere obbligatorio il rivolgersi ai consultori familiari per le coppie che hanno avviato le pratiche di separazione  e per le donne che vogliono abortire.

In conclusione, abbiamo solo riflettuto e pensato alla vita fin dal suo sbocciare nel grembo materno, per nutrire umile e grata coscienza di essere il popolo della vita e per la vita e in tal modo ci presentiamo davanti a tutti: Siamo il popolo della vita e da questo stesso vangelo siamo stati trasformati e salvati.

Siamo inviati come popolo. L’impegno  a servizio della vita grava su tutti e su ciascuno. E’ una responsabilità propriamente ecclesiale che esige l’azione concertata e generosa di tutti i membri e di tutte le articolazioni della comunità cristiana (E.V. n. 79).

Tutto ciò ci consola e ci rinforza nel corso del cammino al servizio della vita.

Pubblicato in Temi di riflessione

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