Anoressia e Bulimia: disturbi alimentari o disturbi esistenziali?

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Il problema del pane, per l’umanità intera, sin da quando l’uomo è apparso sulla terra, è stato legato a quello principale della sopravvivenza.

Ai nostri giorni, nel mondo occidentale, tale problema non si presenta più nella sua drammaticità, ma va assumendo alcuni aspetti peculiari comunque legati all’esistenza.

Nutrirsi per vivere, mangiare per crescere oppure osservare una dieta per vivere bene, dimagrire per essere accettabili innanzitutto ai nostri occhi sono le facce di una stessa medaglia il cui interrogativo fondamentale può essere formulato richiamando Shakespeare: essere o non essere. Esistere, perché? Quale senso ha la vita?

In un mondo che ci propone immagini che evocano il piacere, il benessere, tali interrogativi esistenziali rimangono tagliati fuori dalla riflessione generale ed affidati al singolo individuo, che, incapace di sopportane il peso da solo, esprime nel sedersi a tavola tutta l’insicurezza circa la propria esistenza.

Ma perché proprio dinanzi al cibo si evidenzia tale esigenza di dare una risposta al nostro vivere quotidiano?

Possiamo richiamare il latte materno come prima esperienza alimentare di ogni individuo che viene al mondo, ma anche come prima occasione per cogliere attraverso il contatto, il tepore, il tenero abbraccio qualcosa che va molto al di là della semplice funzione di nutrimento. Diviene esperienza relazionale, capace di offrire sicurezza, di trasmettere attenzione, premura, accoglienza, tenerezza, appagamento.

Assume il senso profondo di disponibilità: “essere per l’altro, farsi cibo per l’altro”. Allora già da neonati incameriamo nella nostra mente questo collegamento tra alimento ed emozione relazionale, tra sazietà corporale e soddisfazione psichica.

Il cibo, così, viene ad essere la prima condizione di esistenza e perciò racchiude in sé un tema che non è solo alimentare, ma esistenziale perché tocca la radice dell’accettazione o del rifiuto della propria vita.

L’anoressia appare così il rifiuto ostinato di una dimensione matura ed equilibrata dove affrontare i temi esistenziali, una chiusura caparbia per rivoltarsi contro una realtà che non si accetta. Sono molteplici le manifestazioni dell’anoressia che vanno dal semplice rifiuto del cibo con restrizioni per determinati alimenti fino al restituire con il vomito quanto si è mangiato o per costrizione altrui o per desiderio personale.

Appare un modo per dire il proprio disagio, per comunicare in maniera più o meno vistosa il proprio malessere esistenziale.

La bulimia, invece, è un modo prepotente per affermare la propria esistenza; nella vorace assunzione di cibo si recupera un significato sostanziale al proprio essere, si riempie il vuoto esistenziale del non senso recuperando sensazioni forti, addirittura violente.

Senza addentrarci nei meandri di tali patologie, che vanno affrontate opportunamente da medici specialisti, è possibile tentare di inquadrare aspetti del quotidiano da non sottovalutare nelle nostre famiglie per un armonioso sviluppo relazionale. “A tavola si combatte con la morte”: recita un vecchio adagio popolare.

Esso racchiude in sé un fondo di verità, nel richiamare il tema fondamentale dell’esistenza, ma, al tempo stesso, al di là della lettera, un invito a cogliere una saggezza, che ci inchioda ad una riflessione pur sempre necessaria sul valore da dare alle cose che facciamo quotidianamente.

La logica della fretta, dell’ansia, dei bisogni da soddisfare subito e di corsa viene ad uccidere quanto è scritto naturalmente nel nostro corpo, da quando veniamo al mondo: il rispetto di sé per vivere gustando ciò che l’individuo fa.

La mentalità del mordi e fuggi, del fast food, del panino consumato fugacemente nella solitudine per appagare un vuoto di stomaco, aiuta, in fondo, a banalizzare un evento che racchiude in sé grossi temi esistenziali e può portare a vivere nella fretta ciò che il nostro organismo richiede che si svolga al di fuori della fretta travolgente.

Infatti, il senso di sazietà, di soddisfazione, di appagamento viene registrato fisiologicamente dal nostro organismo, a livello ipotalamico, circa venti minuti dopo avere assunto cibo, indipendentemente dalle quantità introdotte.

Diviene necessario mostrare una certa attenzione alla tavola per scoprire come può essere il luogo dell’incontro in famiglia, per il dialogo costruttivo tra persone che in occasione del pasto entrano in relazione per comunicare la propria esperienza, i propri sentimenti. Il tempo da dedicare al cibo diviene così lo spazio privilegiato per il contatto tra persone vive desiderose di nutrirsi per crescere non solo fisicamente, ma soprattutto per arricchirsi reciprocamente dell’esperienza dell’altro.

Quante ansie, quante inquietudini, invece, prendono il sopravvento proprio all’ora dei pasti nelle nostre famiglie, perché è il tempo per vedere il telegiornale o la televisione, che ci mette tutti in religioso mutismo impedendo che si attui quell’incontro tra esseri umani. Mangiamo immagini il più delle volte di violenza, di morte, che provocano una seria devastazione nel nostro essere già tanto fragile e alla ricerca di senso per il proprio vivere quotidiano.

Condizionati dal mezzo televisivo, facciamo fatica a progettare nelle nostre case i momenti d’incontro ed allora cadiamo nello scambio verbale sterile e infruttuoso, privo di contenuti esistenziali, incapace di trasmettere sentimenti. Tutto si risolve in fugaci interventi di ordine pratico, dove manca in maniera assoluta il tenero e caldo abbraccio della condivisione del pane, dell’essere compagno secondo l’accezione vera del termine (cum panis= colui che mangia lo stesso pane).

Se offrirai il pane della tua anima a chi è affamato nell’essere, se sazierai chi è digiuno di amore, di comunione, allora il ritrovarsi intorno ad una tavola per consumare il cibo può acquistare un senso profondo tale da essere immagine dell’amore ” agape” di cui parla la Sacra Scrittura.

Diviene necessario sapersi guardare da una mentalità consumistica, da mode il cui solo interesse è di ordine economico- commerciale, per non tralasciare quegli aspetti peculiari di ciascun uomo che vanno curati ogni giorno.

Offriamoci un’opportunità all’ora del pasto dandoci un appuntamento a cui non mancare. Sperimentiamo come l’incontro a tavola può essere un’occasione per non essere soli e per nutrirci non solo di cibo ma soprattutto di relazioni autentiche.  

Un tozzo di pane secco con tranquillità è meglio

di una casa piena di banchetti festosi e di discordia.

Proverbi 17,1

 

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