La comunità familiare

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Carissimi,

siamo lieti di invitarvi alla giornata promossa dal Consultorio Diocesano Famiglia nuova”, che si svolgerà presso l’Istituto  San Paolo sito in Via Corrado Alvaro n° 9 a Monteruscello:

Domenica 10 Settembre alle ore 9.30

sul tema:

“La comunità familiare”

 

Nota bene: Vi invitiamo ad essere puntuali perché il tema verrà introdotto già con la Santa Messa.

Per aiutarci a vivere un momento fruttuoso per la nostra vita di coppia e per non incontrare difficoltà nel rispettare i tempi necessari alla riflessione, al lavoro in coppia e in gruppo, vi sollecitiamo a rispettare l’orario d’inizio.

Il pranzo si svolgerà come al solito, come agape fraterna, per condividere insieme quanto ognuno avrà provveduto a portare.

La riflessione toccherà i punti essenziali del nostro vivere insieme come famiglie cristiane. Considereremo aspetti della vita quotidiana che, molte volte, generano incomprensione, difficoltà relazionale non solo nella coppia, ma un po’ in tutti i componenti della famiglia. Ci aiuteremo a scoprire quali fondamenti porre nelle nostre case perché si generi una condizione di benessere spirituale. Scopriremo come la dimensione del percepirsi una cosa sola con l’altro, sia capace di dare un sapore unico alla nostra vita familiare.

Il termine è previsto alle 17,30.

Pozzuoli, 22/08/06                                L’equipe del consultorio

 

“La comunità familiare”

La comunità familiare sta a indicare una realtà di persone che vive in comunione.

Non è un semplice raggruppamento di individui, una sorta di consorzio, di condominio. Si tratta, piuttosto, di un insieme di persone che non hanno soltanto lo stesso domicilio, ma vivono di relazioni fondate sull’amore, sull’accoglienza dell’altro, sull’ascolto reciproco.

La famiglia, quindi, non si fonda sul fare, sulle abilità delle persone che la compongono, ma sull’essere autenticamente se stessi.

Espressioni comuni come “essere a casa”“essere in famiglia” sottolineano appunto una qualità relazionale non riscontrabile in altri contesti umani.

Troppo spesso, però, s’ingenera un frainteso che spinge i membri di una famiglia a porre nel fare, nell’agire, nelle capacità operative il fondamento dell’accoglienza dell’altro. Secondo Karl Frielingsdorf, professore di psicologia pastorale e di pedagogia religiosa alla Philosophisch-Theologische Hochschule Sankt Georgen di Francoforte sul Meno, questo atteggiamento determina una condizione di sopravvivenza, non certo di vita autentica.

Infatti, chi sente di essere accettato solo a patto di fare qualcosa, di essere bravo, di adeguarsi, non può vivere veramente.

Svilupperà strategie  di sopravvivenza. Per essere amato vorrà far sempre di più, cercherà di adeguarsi sempre di più, di non  dire mai ciò che pensa, di non esternare mai i suoi sentimenti.

Tutto questo non è certo vivere ma, piuttosto, è sopravvivere.

La psicologia transpersonale  afferma che l’uomo viene risanato quando finisce la identificazione con il mondo, con le idee altrui, con il loro riconoscimento, quando smette di restare aggrappato al suo Io e si apre alla realtà di Dio.

Così pure, troppo spesso, nelle famiglie si tende a rivestire un ruolo, quasi come se si fosse un personaggio di una commedia con un abito cucito addosso  che non è possibile smettere. Tutto questo in chi lo realizza produce sofferenza in quanto l’abito indossato diventa con il tempo una camicia di forza, che impedisce  di essere se stessi.

La famiglia è luogo d’incontro di persone vive, autentiche, non di personaggi con un ruolo da rivestire come da copione.

L’ambiente familiare sano, perchè si generi una crescita armonica nei suoi membri, si fonda su un atteggiamento di base reso molto bene dal linguaggio anglosassone con  il termine “letting be”.

La traduzione è “lasciar essere” che vuol dire favorire in una persona la sua piena realizzazione. Vuol dire aiutare una persona, in questo caso, un membro della famiglia ad esprimere se stesso senza costrizioni, condizionamenti.

Sant’Agostino  nelle Confessioni al libro VI ( 7, 12 )  esprime con Volo ut sis : voglio che tu sia quello che sei,  lo stesso concetto.

Nessuna riduzione dell’altro a sé per possesso e nessuna abdicazione e consegna all’altro come nell’alienazione per immedesimazione, ma  rispetto della differenza, cura della distanza, abbandono sì ma  nella giusta misura senza oltrepassare il limite oltre il quale c’è o la prevaricazione dell’altro che si vuole possedere o la rinuncia a se stesso per immedesimazione nell’altro. Si tratta di inquadrare la famiglia come un noi dove le persone mettono in comune non solo il loro benessere, ma anche la loro autonomia.

Domenica 10 Settembre avremo modo di riflettere su questo tema. Vi aspettiamo.

 

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