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La vita cambia con l’amore

Oggi si assiste ad un gran parlare di amore in senso generale facendo passare tutto per amore; così vengono definiti con lo stesso termine onnicomprensivo “amore” sia l’armonioso, costruttivo e maturo rapporto di coppia vissuto alla pari, sia l’affettività con legami frutto di uno slancio soltanto istintivo, superficiale con poco spessore, o di una passione accecante, o di un possesso soffocante o di una relazione manipolativa.
Tutte queste manifestazioni riguardanti la sfera affettiva vengono racchiuse da un unico termine utilizzato inopportunamente.
Una visione romantica concepisce l’affettività senza sfaccettature; una visione incompleta impedisce di coglierne la gamma di sfumature con le sue luci e le sue ombre.
Non si tratta semplicemente di una questione di lessico, di definizione, di appropriatezza di linguaggio, ma piuttosto di contenuti.
Si avverte la necessità di disambiguare tutto questo, definendo in modo diversificato le varie espressioni di un legame affettivo. S’impone l’uso di un linguaggio variegato per una riflessione a tutto campo su di un tema che non può servirsi di luoghi comuni, utilizzando slogan adatti ad un ambito pubblicitario, ma va affrontato con un’attenta ed acuta analisi introspettiva.
L’affettività, con tutto il suo corredo di aspetti positivi e negativi, costituendo una componente fondamentale della via umana, merita un linguaggio più completo; non può avvalersi, dunque, di un generico impiego di parole accattivanti.
In molte fiction televisive, in molti film le relazioni amorose appaiono come se costituissero una sorta di integratore psicoaffettivo da assumere per colmare vuoti esistenziali, un potente toccasana con valenze prodigiosamente magiche capaci di curare ferite pregresse.
Il “vissero felici e contenti” della fine delle favole è una tipica conclusione di un racconto, che lascia spazio al sogno, attivando l’immaginazione, ma non si addice ad una realtà dinamica esistenziale in continua evoluzione.
Comunemente si dice che la medaglia ha sempre due facce, volendo intendere che nell’analizzare un problema, una questione, per completezza di esposizione, vanno considerati gli aspetti positivi accanto a quelli critici.
Il termine amore, in un simile contesto, ricoperto da scontate elaborazioni e da enfatiche mielose proiezioni, rappresenta una positività assoluta, che non lascia minimamente intravedere possibili prospettive buie.
La cultura antica greca già avvertiva la complessità dell’amore umano, per cui per indicarlo preferiva i termini eros e philia, a cui si aggiunse il termine agape del mondo cristiano per dire la pienezza divina dell’amore.
Le vicende riportate dai mass media evidenziano quanto le relazioni affettive possano essere malate.

Campagna-della-Polizia-contro-la-violenza-sulle-donne_articleimageDinanzi a cronache di violenza consumata nell’ambito familiare, le persone restano smarrite, sorprese come se fossero impreparate a riconoscere nelle relazioni familiari un possibile luogo di deriva psicologica.
L’atmosfera familiare, in quanto agganciata all’amore, sembra non dover vivere anche di fragilità, incoerenze, incomprensioni, gelosie, fraintesi, risentimenti, emozioni e sentimenti ostili, come se questi non fossero presenti nell’animo umano.
Tracciare i profili dei protagonisti delle cronache, facendo trapelare comportamenti al limite della patologia, fornisce, indirettamente, all’opinione pubblica la convinzione che certi eventi succedono nelle case degli altri, sono lontani dalla comune realtà, per cui non rappresentano un elemento significativo per attivare, mediante una ricaduta nella vita personale, opportune mature riflessioni.
C’è, invece, da sottolineare che ci innamoriamo con tutte le nostre ferite, dolori, paure, irrisolti. Le storie personali intrise di fatti che necessitano di revisioni, riletture, rielaborazioni, tempo per essere sanate, sanguinano e continueranno a sanguinare attraverso relazioni non immuni da lacerazioni, strappi dolorosi, cocenti incomprensioni, da rabbia repressa o agita.

Una tale relazione affettiva porta in sé una radice malata, narcisistica, perché esige che l’altro soddisfi i bisogni, colmi i vuoti e sani le ferite della storia personale. Così l’eros, che è tensione interiore, aspirazione, desiderio, slancio, intraprendenza, autoaffermazione necessaria per manifestare all’altro l’interesse che suscita e richiamarne l’attenzione, si macchia divenendo prevaricazione, sopraffazione, costrizione, attenzione egocentrica dove l’altro assume il ruolo di sterile oggetto. Così la philia, che è l’aspetto amicale, costituito da uno scambio reciproco, dal racconto di sé, dal fiducioso porsi nelle mani dell’altro, consegnandogli, senza riserve, frammenti del proprio mondo interiore, si trasforma in ricerca narcisistica di plauso, di consenso, di approvazione, esibendo un copione ossessivo, il solito monologo a brandelli, che è un gridare le mancanze degli altri in un clima di autoesaltazione.
La relazione, insomma, diventa rifiuto dell’incontro trasformandosi in appropriazione, in gioco di potere; l’altro viene schiacciato, mortificato, reso inoffensivo, se non annullato del tutto.
La relazione amorosa è un percorso a due, è uno stile di vita che va costruito nel tempo, va nutrito, coltivato, curato con impegno, va purificato da quegli egoismi che naturalmente fanno parte del nostro essere; essa richiede l’acquisizione di una cultura che va oltre il sentire comune.
Oggi, i rapporti sentimentali si presentano fugaci, fragili, effimeri e incerti; sono relazioni del tipo consumistico, proprio di una società mercantile, “usa e getta”, e virtuali proprio dell’era digitale.
Abbiamo disimparato ad amare in una società dove il soggetto spinto ad un godimento solitario, narcisistico, individuale, rinuncia a dialogare con l’altro comunicando il proprio mondo interiore mediante parole e sguardi.
Abbiamo bisogno di imparare a distinguere tra gli inquinanti della mente, come orgoglio, critica negativa, disprezzo, giudizio inflessibile e le qualità dell’animo umano, come umiltà, gratitudine, semplicità, benevolenza, per scegliere se adoperarci per promuovere intorno a noi distruzione e infelicità o piuttosto armonia e benessere.
Abbiamo bisogno di diventare consapevoli che in noi ci sono energie positive e negative capaci di portarci o verso relazioni costruttive e armoniose, amore sano, o verso relazioni insoddisfacenti e distruttive, amore malato.
Abbiamo bisogno di cogliere come i gesti d’amore si rivestono di ambiguità se non accompagnati da un linguaggio denso di sentimenti opportunamente espressi; altrimenti la tenerezza può essere anche invadenza, la dolcezza può diventare manipolazione, l’apertura immaturità, l’estasi narcisismo, il dono possesso.
La comunicazione, fondamento di qualsiasi relazione significativa, può essere malata, andando dall’inespressivo al rabbioso, dall’autocentrato all’aggressivo, dall’ingannevole all’artefatto.
E’ la dimensione umana con la sua precarietà, con i suoi limiti, con le sue incongruenze che si fa presente nell’incontro amoroso con la sua naturale crudezza e non sono certo i tecnicismi, le abilità, le strategie relazionali a conferirgli un buon grado di appagante soddisfazione.
E’ il reciproco sentirsi accolti nella nudità esistenziale a favorire un percorso a due orientato verso un’armoniosa condivisione, capace di vincere quella naturale paura dell’altro.
L’amore comprende un andare oltre se stessi, incontrando l’altro; c’è un “oltre” che è “eccesso”, capace di cambiarci la vita sia nel bene che nel male.

La foto è stata utilizzata dalla Polizia di Stato per la campagna «…questo non è amore» contro la violenza sulle donne.

Pubblicato in Temi di riflessione

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