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La Scienza del Sé ovvero l’alfabetizzazione emozionale

Oggi, nella nostra società vi è difficoltà a tutti i livelli di esprimere i propri sentimenti. Dalla psicologia sociale è stato coniato il termine di camaleonti sociali intendendo designare quelle personalità che si mimetizzano con l’ambiente nel quale vivono.

Ai camaleonti sociali non importa di dire una cosa e di farne un’altra, purché ciò arrechi loro l’approvazione sociale. Convivono con il divario tra volto pubblico e volto privato. Sono personalità mutevoli dotate di una grande plasticità.

Sono disposti pur di non perdere punti nei rapporti con gli altri, per essere apprezzati, a far credere a coloro che detestano di essergli amici.

Si adattano alle circostanze, mascherando il proprio modo di pensare. Non si espongono in pubblico per far conoscere i propri sentimenti per non perdere assolutamente popolarità. Sono privi di autenticità, sono infedeli a se stessi, non vivono in armonia con i  propri sentimenti e i propri valori.

Sono incapaci di integrità emozionale. Non sanno provocare un incontro chiarificatore per risolvere situazioni di doppiezza e negazione.

Prima di reagire, invece di esprimere semplicemente ciò che pensano davvero, cercano di analizzare minutamente l’altro alla ricerca di un indizio di ciò che egli desidera da loro.

Si preoccupano di fare sempre un’eccellente impressione pur avendo poche relazioni intime stabili o comunque soddisfacenti.

Appare evidente dal profilo tracciato come vi sia una mancanza di maturità, di autenticità, di sintonia tra il proprio mondo interiore e il mondo esteriore con il quale si vive a contatto.

Infatti, un chiaro segno di maturità  è sapere bilanciare la fedeltà a se stessi con le abilità sociali, usandole con integrità.

Inoltre, la sfera pubblica e la sfera privata possono fondersi in maniera armonica da parte di individui maturi, responsabili, dotati di abilità sociali.

In alcuni casi vi può essere solo un caleidoscopico mutare di apparenza, vivendo tutto in maniera superficiale, senza atterrare ad un mondo intimo, dove i sentimenti si affollano ed hanno bisogno di essere esternati piuttosto che repressi o soffocati.

Lì dove si realizzano meccanismi di repressione, si hanno doppie personalità, ambiguità relazionali, rapporti falsi, convenzionali, che non fanno altro che amplificare il senso di frustrazione, insoddisfazione sociale con conseguenti meccanismi di violenza.

Agli ambienti dove è possibile il confronto leale per promuovere una crescita armonica, per progettare uno sviluppo sociale, si vanno sostituendo, un po’ dappertutto, contesti sociali carichi di tensione, di sopraffazione, di violenza gratuita, di turpiloquio.

Non solo nella classe dei politici ritroviamo tali personalità descritte come camaleonti sociali, ma in dirigenti di azienda, in leader di gruppi associativi, in capigruppo lavorativi, religiosi, sociali.

Nella classe politica, ricca di personalità sopra descritte, la caratteristica costante è un linguaggio falso, ambiguo, senza coloriture ideologiche, mutuato da quello degli spots pubblicitari. Si tratta di un linguaggio spettacolare, ad effetto ma non certo di sostanza, confezionato al solo scopo di stupire in apparenza.

Dinanzi agli avvenimenti pubblici non vi è nessun feedback, nessuna reazione se non quella, molte volte, istintiva di bassa lega, senz’altro non improntata alla promozione di una riflessione matura.

I sentimenti appaiono mascherati, falsati dalle circostanze, convenzionali, rispondenti a stereotipi senza modulazione. Vi è una sorta di analfabetismo sentimentale.

Non ci si espone.

Il pensiero corrente dominante favorisce un tale sviluppo della personalità, realizzando non poche difficoltà negli ambiti dove si esperisce un siffatto modo di gestire gli altri, di intessere relazioni che mancano decisamente di qualità, ma soprattutto generano blocchi  sociali di crescita.

Il gruppo s’ingessa in ruoli senza poter coltivare prima di tutto rapporti improntati allo sviluppo umano, con soddisfazione di tutti i suoi componenti, e poi una vera e propria promozione sociale, culturale, spirituale.

Il clima falso, ambiguo che viene a determinarsi realizza condizioni relazionali scadenti sotto tutti i punti di vista.

Questo il contesto sociale nel quale viviamo e che si va confermando in maniera sempre più decisa all’orizzonte.

La caratteristica comune sia a chi dirige sia a chi come cittadino si lascia gestire è l’analfabetismo emozionale, che inevitabilmente sfocia nella violenza relazionale a tutti i livelli.

Negli Stati Uniti dove un siffatto clima di tensione è molto diffuso, si avverte la necessità di tenere corsi di formazione nelle scuole elementari, medie e superiori per cercare di far fronte ad una tale degenerazione relazionale, che porta molto spesso a catastrofiche manifestazioni di violenza.

Si tratta di introdurre l’alfabetizzazione emozionale nelle scuole come materia d’insegnamento per cui aspetti rilevanti della vita quotidiana dell’alunno non vengono più considerati intrusioni non pertinenti, ma divengono oggetto di riflessione corale. Vengono utilizzati come argomento del giorno le tensioni e i traumi presenti nella vita dei bambini.

Gli insegnanti parlano di questioni concrete: del dolore del sentirsi esclusi, dell’invidia, dei contrasti che potrebbero sfociare in una zuffa nel cortile di una scuola.

L’alfabetizzazione emozionale è importante come la matematica e la letteratura.

Gli studenti imparano non ad evitare i conflitti, ma a risolverli e soprattutto a sciogliere il risentimento prima che degeneri in vero e proprio scontro distruttivo, come è accaduto in diversi fatti di cronaca scolastica anche da noi in Italia.

L’analfabetismo dei sentimenti è la costante alla base di tanti episodi degenerati in eventi delittuosi.

I ragazzi aggressivi e prepotenti spesso attaccano gli altri compagni in preda all’ira perché interpretano come  ostili messaggi ed espressioni in realtà neutrali, così come le ragazze affette da disturbi del comportamento alimentare non sanno distinguere la collera dall’ansia e dalla fame.

L’analfabetismo sentimentale sollecita un serio impegno sociale per programmare corsi di formazione all’educazione emotiva perché i giovani e non solo imparino che non esistono soltanto la passività o l’aggressività per affrontare i conflitti, ma  molte altre alternative senza ricorrere alla violenza.

Tali abilità una volta apprese restano per tutta la vita  e non servono soltanto ai soggetti più inclini alla violenza. E’ auspicabile che venga, con urgenza, anche in Europa, in Italia introdotta la Scienza del sé  come materia di studio.

Pubblicato in Temi di riflessione

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