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La dimensione intima

L’intimità nella coppia può essere guardata secondo l’angolazione della tecnica (la tecnica della seduzione), della neurochimica (l’alchimia degli ormoni), della fisica (il moto dei corpi), in una parola secondo il linguaggio razionale della scienza e della tecnica, oppure può essere osservata come passione, impulso, sogno secondo una linea dove, invece, l’irrazionalità la fa da padrona nella relazione uomo donna.

E’ necessario venire fuori da questo dualismo, da questa bipolarità dove da un lato domina il razionale e dall’altro l’irrazionale.

Se gettiamo uno sguardo al modo d’intendere l’intimità ci accorgiamo come c’è una caduta di significato nelle parole stesse. Intimità è ciò che sta nel profondo (intimo come aggettivo è un superlativo e significa il più segreto, il più riposto, il più nascosto).

In senso figurato, intimità significa condivisione dei pensieri e dei sentimenti più personali e segreti. Sinonimi sono confidenza, familiarità, quindi con l’espressione “essere in i. con qlcu.”, si fa riferimento al contatto amoroso, al rapporto sessuale.

L’intimità è un legame d’affetto fatto di attenzioni reciproche, di responsabilità, di fiducia, di comunicazione aperta dove circolano sentimenti, sensazioni, emozioni, uno scambio non improntato alla difesa del proprio punto di vista, ma piuttosto al trasferimento all’altro del proprio mondo interiore per condividere, per essere in comunione, per avvertire di essere una cosa sola..

L’intimità sessuale è la capacità di aprire se stessi attraverso il sesso. Le persone che possono permettere agli altri di conoscerli possiedono un potenziale maggiore per esperienze sessuali profonde.

La sessualità offre quindi una grande finestra per osservare e conoscere a fondo se stessi, la propria relazione, i nodi da risolvere e il potenziale da sviluppare.

Lo scambio amoroso può svolgersi nella reciprocità simmetrica: io ti do, tu mi dai, tu non mi dai io non ti do; a questo livello siamo un po’ in un atteggiamento dove osserviamo la relazione, siamo in difesa, ci mettiamo in gioco ma fino ad un certo punto. C’è paura di aprirsi, di scoprirsi e facilmente si scivola nel campo del potere, del dominare l’altro.

Quel mondo interiore resta sommerso nel segreto, non lo lascio emergere per metterlo in gioco nella relazione in maniera completa, mi riservo uno spazio segreto. Sembra quasi che l’intesa di coppia sia frutto di strategie relazionali, per cui appaio controllato, ansioso. Se vivo la relazione in un atteggiamento dove è lo scambio controllato a caratterizzarla, si realizza una sorta di patteggiamento dinanzi agli eventi, ci si scopre poco e la comunicazione si mantiene su di un piano intellettivo verbale. Osservo l’altro, indago, valuto, per essere sulla stessa lunghezza d’onda. C’è una sorta di staticità in questo tipo di contatto. Si cade, facilmente, nel conflitto, basta poco per essere lì pronti a rintuzzarsi, a muoversi accuse reciproche. Si spia l’altro a caccia degli errori, degli egoismi, per poterlo schiacciare al momento opportuno, in fondo per averlo in pugno, dominarlo in un enfatico possesso.

L’accusa è reciproca in un contesto di inappagante e distruttiva competitività.

Tutto questo è fatica, sforzo, produce stanchezza e profonda insoddisfazione interiore.

Nella mitologia Eros risulta essere figlio di Poros e Penia dove Poros sta per ricchezza, potere mentre Penia per povertà, mancanza.

Eros si muove così tra due poli: il bisogno di affetto e il desiderio di donare.

Il donare, però, può essere visto come una dimensione di vantaggio dell’uno rispetto all’altro e, quindi, di supremazia, di superiorità.

Questo dislivello è qualcosa che può realizzarsi quasi in modo inconsapevole, perché riconosco di avere qualità che l’altro non ha e donando la mia disponibilità, posso cadere nell’inganno che sono io a condurre l’ altro nella coppia, ad indicargli la direzione verso cui andare. Un siffatto ruolo-guida, assunto da uno dei due partner, può anche funzionare per un tempo, ma, alla lunga, produce insoddisfazione in ambedue.

Sottilmente, la coppia giunge ad instaurare un gioco di potere, perché non realizzandosi una equilibrata convivenza tra bisogno e dono, scivola in un fissismo di ruoli nella relazione; da un lato si pone chi è propenso a dare e dall’altro chi a ricevere, venendo meno quel donarsi reciproco, che porta a sperimentare una flessibilità che è piacevolezza creativa.

La visione statica dell’incontro uomo donna si attesta ad un livello competitivo preoccupandosi di mantenere i ruoli in modo rigido perché il rapporto funzioni; la visione dinamica, flessibile della relazione, invece, porta ad uno sviluppo verso il noi della coppia. La reciprocità, il mutuo scambio, il sostegno reciproco, determina una circolarità, un arricchimento e una crescita permanente verso dimensioni inesplorate.

C’è bisogno di un nutrimento nella vita di coppia e il nutrimento è dato dal pane della condivisione.

C’è bisogno, per la vita di coppia, di consumare un pane non lievitato dal lievito dell’ipocrisia, della falsità, dell’ambiguità, del rancore, del sospetto, dell’abitudine; c’è bisogno di consumare un pane da spartirsi nell’immediatezza dell’incontro, nella bellezza di uno sguardo, un pane appena sfornato, caldo per il calore delle emozioni suscitate dagli eventi accaduti nella giornata, profumato del profumo delle sensazioni percepite nel corso degli incontri casuali o significativi del vissuto quotidiano, cotto al fuoco dei sentimenti generati dal contatto amoroso e tenero con l’altro.

Consumare insieme un pane siffatto anche come pane della fretta, della miseria di ogni giorno ha il potere di portare a compimento il rapporto di coppia, ad una pienezza appagante dove è possibile cogliere quanto vada acquistando consistenza il legame che fa dei due una cosa sola e rafforzandosi la forza coesiva della comunione.

In questa crescente intimità raggiunta col nutrirsi dello stesso pane, la coppia sperimenta lo scambio amoroso coniugale come dono di sé, proposta di sé, apertura all’altro.

Non si vive la difficoltà se si riconoscono e si ammettono le proprie responsabilità, i propri limiti, perché non si vive con paura la presenza dell’altro.

Un primo passo da compiere è uscire dal pensare che in fondo l’amore degli altri ci spetta, lo meritiamo, ci è dovuto perché siamo convinti di essere amabili sempre, disponibili sempre, accettabili sempre, dolci sempre, affabili sempre, comprensivi sempre, comunicativi sempre nel modo giusto.

Un secondo passo è uscire dall’inganno che se non mostriamo tutte queste qualità che supponiamo di avere in maniera assoluta, non ne siamo responsabili, ma la causa di ciò è l’altro, perché mi esaspera, mi fa perdere la pazienza, mi si oppone e non dovrebbe perché ….. io sono amabile sempre, disponibile sempre, accettabile sempre, dolce sempre, affabile sempre, comprensivo sempre, comunicativo sempre nel modo giusto. Un terzo passo è riconoscere quanta fragilità ci viviamo nella relazione a due e quanto siamo poco disposti ad ammetterlo, a confessarlo all’altro, per avvertirlo come un aiuto per la nostra vita.

Il mio diletto, il mio amato è per me ed io sono sua

La mia diletta, la mia amata è per me ed io sono suo.

La relazione non è una strategia da attuare per non cadere nelle grinfie dell’altro.

E’ un entrare nel mondo dell’altro in punta di piedi, con tutta la delicatezza possibile per non ferire in alcun modo la sensibilità del partner.

Sul piano sessuale, si realizza un’intesa ricercata non nell’ansia di prestazione, ma nel vivere l’incontro nelle circostanze del momento dove è importante esserci con tutte le limitazioni della fragilità della carne.

C’è una ricchezza di possibilità nella creatività del contatto, dove è importante essere in due con tutto il proprio carico di interiorità da offrire all’altro.

La relazione diviene dinamica, proprio per questo aspetto creativo che caratterizza l’incontro. L’altro non va posseduto ma accolto come dono gratuito.

L’unità non è frutto di prevaricazione, di fusione, di assorbimento di uno da parte della personalità più forte dell’altro, ma espressione di comunione di persone.

“Vivono nella carne, ma non secondo la carne” sottolinea la lettera a Diogneto, composta nei primi secoli dell’esperienza cristiana, ponendo in evidenza tutta la fragilità della natura umana, con la parola carne, ma ampliandone enormemente l’opaco orizzonte con l’espressione “non secondo la carne”.

Tutto ciò sta ad indicare come l’incontro della coppia non si esaurisca in una dimensione fisica dove è il mondo degli istinti a regolarne le dinamiche relazionali, ma piuttosto è la dimensione spirituale, psicologica, affettiva, che, se coltivata nel dono reciproco di sé, spinge la coppia a raggiungere vette inesplorate, partendo proprio da quel mondo di carne che ne costituisce l’elemento imprescindibile di avvio.

Pubblicato in Temi di riflessione

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