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Il bambino interiore lagnoso

La caratteristica più impressionante della personalità nevrotica è il suo essere incentrata su se stessa e la sua autocommiserazione ne è l’aspetto più saliente.
La conquista di una maturità emotiva equivale ampiamente ad una diminuzione dell’egocentrismo.

La resistenza al cambiamento è un effetto stesso dell’autocommiserazione, è una dipendenza dall’autocompassione.

Superare una nevrosi è rompere i legami con l’autocommiserazione. Vi sono anche aspetti collegabili con sensazioni d’inferiorità, idolizzazione di persone e tendenza a sentirsi vittima.

Inoltre, appare evidente che viene richiesto, molte volte, dalle personalità nevrotiche un tacito schieramento   “sei con me o contro di me” con atteggiamenti di censura nei confronti di idee non gradite.

Anche questo appare come un atteggiamento dichiaratamente infantile, perché “se sei con me” sei amabile, “se sei contro di me” sei detestabile. Non c’è gradualità di valutazione, capacità di discernimento, c’è soltanto una sensibilità di tipo infantile.
Un bambino è incentrato su se stesso. Ha un forte senso dell’Io. Paragona se stesso agli altri, soprattutto per come li vede nella sua concezione soggettiva.

 Quando il risultato è negativo, si sente raggirato, offeso, meno amato e oggetto di minor rispetto e apprezzamento di quanto lo sono altre persone, reali o immaginarie.

Il bambino proprio per un bisogno profondo di appagamento, è incline a vedere se stesso come meno privilegiato, meno amato, collocato permanentemente in una condizione meno favorevole.

Proprio per tale bisogno rimane deluso ogni volta che sperimenta una mancanza di affetto, di apprezzamento, reale o immaginaria. Il proprio valore come persona decade, a confronto con altri appare screditato, svalutato irrimediabilmente.

Gli eventi sono letti drammaticamente come espressione di apprezzamento, come prove di stima, di capacità, di promozione, di approvazione. Insomma in poche parole è poco disposto al fallimento, alla caduta, giungendo a concludere per la sua inferiorità.

L’idea di essere grasso, essere meno apprezzato di un fratello, essere balbuziente, essere figlio di un padre di umile condizione sociale, di essere una frana a scuola o altro coinvolge l’intera persona producendo grosse limitazioni alla crescita matura. Infatti il sentirsi inferiore implica pensare che gli altri non ti possono amare a causa della tua mancanza di valore; che non ti accettino veramente, così che tu non appartieni a quel determinato gruppo. Reazioni emotive che ne conseguono sono: vergogna, solitudine, autodisprezzo, tristezza o rabbia.

Si costruisce un’immagine negativa di sé e la reazione emotiva primitiva dell’io offeso è la compassione di se stesso. Sente pietà di sé, con affermazioni come sono odioso, malvisto, debole, buono a nulla, rifiutato, svantaggiato rispetto a mio fratello o a mia sorella, sottolineato da un “povero me” che esprime tutto il senso di autocompassione.

Con questo sentimento si concentra ancora di più su di sé; con le sue energie mentali pone un’attenzione massima a se stesso, provando emozioni di protesta, sia sotto forma di collera, di ostilità, di ribellione o di amarezza, in quanto si sente trattato dagli eventi e dalle persone ingiustamente. Senza questo senso di autocommiserazione il complesso d’inferiorità non avrebbe conseguenze così dannose.

Bambini e adolescenti che si sentono soli con le loro sgradevoli sensazioni per lungo tempo, di solito non si confidano neanche  con persone fidate; si vergognano o pensano che non ci sia nessuno che li possa comprendere. Continuano così ad autocommiserarsi.

 Nell’adulto ritroviamo il complesso d’inferiorità, il bambino interiore e l’abitudine all’autocommiserazione. Si protraggono comportamenti infantili e puerili riguardanti quelle zone in cui le frustrazioni infantili hanno operato.

L’omosessualità è un tipo di nevrosi.

Il secondo lineamento nevrotico è l’autocommiserazione: si è oggetto d’ingiustizia, sempre frustrato o sempre sofferente per qualcosa. Le  lamentele sono sensazioni di delusione, di essere lasciato solo, di essere incompreso, di mancanza di stima, di carenza di amore, di disagio fisico, di dolori e così via.

Sembra che la mente del nevrotico non possa fare a meno della drammatizzazione, dell’autocommiserazione.  Il risultato: la normale fiducia in se stesso, la sicurezza e la gioia di vivere sono seriamente compromessi. Inoltre, vi è un desiderio infantile di attenzione, di approvazione e di simpatia, oltre che una frequente spinta all’autoaffermazione. Questo io infantile può cercare di essere importante, interessante, attraente per gli altri, al centro dell’attenzione sia nella vita reale sia nella propria immaginazione. Vi è un atteggiamento mentale egocentrico. Ogni sentimento di amore per le altre persone, basato su un genuino interesse per loro, viene bloccato da un nevrotico atteggiamento compulsivo incentrato su se stesso cresciuto più o meno spontaneamente. Il senso d’inferiorità sfocia in una visione di non appartenenza, per cui non ci si sente responsabili di nulla. “Sono talmente insignificante che non posso essere causa di eventi negativi”. Si è vittime degli altri. Il male è fuori di noi e ci domina.

Accanto a questa lettura che riguarda la persona, gli altri possono essere visti idealizzandoli, persino idolatrandoli. La penosa consapevolezza di essere diversi in senso negativo produce il desiderio di essere riconosciuti e apprezzati da quelli che sono stati idealizzati e apprezzati, per essere uno di loro.

A volte questo desiderio assume caratteri di bramosia. Il bambino interiore cerca: comprensione, compassione, conforto, affetto. Il desiderio diventa insaziabile, incolmabile, la forza trainante di questa situazione compulsiva è inerente alla lamentata inferiorità. Si arriva molte volte ad una compulsione nevrotica in cui si ricerca soltanto di dolere e soffrire per alimentare la necessità di autodrammatizzazione. Le persone con tendenze nevrotiche alla lamentela hanno talvolta un atteggiamento di rimprovero per quanto i genitori hanno inflitto loro. Per quanti fanno un’esperienza di fede, per i cristiani, in particolare, il perdono aiuta a recuperare una relazione che può essere stata difficile tra genitori e figli, intrisa di incomprensioni, assenze.

Ciò risulta fondamentale nel percorso di maturazione. Si è vittime sempre e comunque di una condizione, come un malato inguaribile oppure si è in una situazione di responsabilità.

In fondo un certo grado di responsabilità c’è nel fatto di assecondare le proprie inclinazioni quasi come un automatismo; c’è  responsabilità nel lasciare gridare il bambino interiore senza porre un freno all’autocompassione, nel lasciare innescare una sequela di reazioni concatenate tra loro in cui l’emotività trova libero corso in maniera distruttiva.Vi è indubbiamente una buona parte di automatismo in un complesso nevrotico, del quale la persona non può essere ritenuta responsabile se non in parte, certo non totalmente. Questo è vero per tutte le deficienze di carattere e della personalità, senza prendere in considerazione le persone che sono affette da vere e proprie malattie mentali, come ad esempio gli schizofrenici. Certo l’ambiente familiare, il progetto educativo, l’itinerario maturativo hanno il loro peso nello sviluppo di un atteggiamento nevrotico, che conduce al bambino interiore lagnoso.

In genere, tentando  la formulazione di uno schema, si ha, da un lato, una madre iperprotettiva che scarica la propria emotività, non avendo un legame emotivo con il proprio marito, su di un figlio nella vana ricerca di un compenso, dall’altro lato, si ha un padre assente o debole, comunque poco presente in casa, che non rappresenta un valido punto di riferimento per la moglie ed il figlio.

Di qui, la scarsa autostima, la mancata accettazione di sé, il sentirsi diverso, inadeguato, incapace di un confronto alla pari portano inevitabilmente allo sviluppo di una immaturità di fondo, che si caratterizza per alcuni comportamenti distintivi:

  • La ricerca di consenso da parte degli altri, di coccole [Specialmente da quelle persone idealizzate];
  • L’accusare gli altri e gli eventi come responsabili dei propri fallimenti [Farsi vittime per compiangersi];
  • La mancanza di sincerità relazionale [Il fingere affetti, sentimenti];
  • La refrattarietà al cambiamento [“Chi nasce tondo, non può morire quadrato” restando in un immobilismo rassegnato];
  • Il rifuggire dai conflitti [“ Non volere problemi” per una mancanza di equilibrata emotività];
  • Ricerca esasperata di darsi piacere per fuggire dai fallimenti. [“Non puoi farci niente” automatismi infantili];
  • Impossibilità a vivere un percorso religioso che promuove il cambiamento [Uscire dall’egocentrismo, dall’immaturità, dal puntare il dito, dal sentirsi vittime, per passare al perdono, all’accettazione degli altri, al servizio degli altri, al sapersi donare];
  • Il facile ricorso alla menzogna, al rimprovero, al giudizio degli altri [Rinforzo indiretto della diversità];
  • Il ricorso al comando, al potere  gerarchico o di funzione, al privilegio di casta [Quando ci si trova in una condizione di inferiorità relazionale];
  • Lasciare le decisioni agli altri in una falsa umiltà [Per potere strategicamente prendere le distanze in caso di insuccesso];
  • La vanità gigionesca per essere al centro dell’attenzione [ Cura ossessiva di sé, la mancanza di puntualità, la disobbedienza  sistematica];
  • Il non esporsi coraggiosamente [“Chiedo scusa, ma non sono responsabile”];
  • Il salvare la propria posizione personale [“Con me non ci sono problemi”];
  • Il sentirsi facilmente umiliato, insultato, calpestato [“Allora non sono nessuno”];
  • Il provare invidia nei confronti degli altri [il senso d’inferiorità spinge a confrontarsi con gli altri].

Dinanzi ad una tale complessità sembra quasi improponibile un cambio di mentalità capace di produrre una maturazione radicale, eppure non solo nell’esperienza di consulenza si può realizzare, ma la persona stessa può cercare di aiutarsi  ponendo l’accento su di una qualità fondamentale: la sincerità.

Il paziente deve essere onesto con se stesso se vuole trarre vantaggio dal metodo di van den Aardweg di autosservazione e di autoanalisi.

Certo non è facile per l’io infantile dovere continuamente ammettere che sentiva, pensava e agiva come un bambino capriccioso e ancora più che si abbandonava all’autocommiserazione.

Non cercare scuse o spiegazioni ed evitare di accusare altre persone o le circostanze diviene uno stile di vita necessario per potere venire fuori da una mentalità infantile.

La sincerità della persona nell’acquisire la conoscenza di sé e della sua volontà, questa splendida e sottovalutata facoltà della mente, può assicurare un progressivo sviluppo della personalità verso una dimensione adulta.

Pubblicato in Temi di riflessione
Un commento su “Il bambino interiore lagnoso
  1. Massimo A. scrive:

    Buongiorno, sono un uomo di 48 anni che da anni vive e combatte con il proprio “bambino interiore lagnoso”. Da anni seguo un percorso di psicanalisi ma mai ho avuto uno specchio così chiaro della mia situazione come dopo aver letto l’articolo “Il bambino interiore lagnoso”. Sono sposato e padre di 2 figli in età preadolescenziale che vanno bene a scuola e fanno sport con passione. Sono, pensa un po’, un dirigente di azienda apprezzato. Sono un credente con vecchie esperienze da catechista ma con “impossibilità di vivere un percorso religioso che promuova il cambiamento di uscire dall’egocentrismo e dall’immaturità”. Sono un uomo che ha tutti i sintomi descritti nell’articolo che “sente” l’urgenza di cambiare la propria condizione e che cerca una strada, una direzione, un senso. Anni di psicanalisi mi hanno reso consapevole del mio stato, l’articolo sopra mi ha “fotografato”. Chiedo, esistono esercizi mentali o tecniche “concrete” per indirizzare il proprio Io riluttante verso una strada che Non intende percorrere perchè sconosciuta e che viene bloccato costantemente dalla paura di cambiare rotta? Grazie. Massimo A.

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