Print Friendly

Comunità o Gruppo

“La fraternità è la casa di Dio, dove ogni povero, ogni ospite, ogni malato è sempre invitato, chiamato, desiderato, accolto con vera gioia e gratitudine da fratelli che lo amano, gli vogliono bene e considerano il suo ingresso sotto il loro tetto come l’arrivo di un tesoro. Essi sono, in realtà, il tesoro dei tesori, Gesù stesso: Tutto ciò che fate a uno di questi piccoli, lo ritengo fatto a me”.  

[da Charles De Foucauld]

Sulla scena sociale sembra esserci grande confusione tra i termini “comunità e gruppo” posti sullo stesso piano come se fossero sinonimi. Da qui una breve riflessione, partendo dalla famiglia  per considerarne anche altri ambiti sociali come quello ecclesiale.

La comunione dei coniugi dà inizio alla comunità familiare.

Il matrimonio è un’alleanza di persone nell’amore. E l’amore può essere approfondito e custodito soltanto dall’amore.

Familiaris consortio n° 21: La comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione.

Appare evidente come il termine comunità esprime una realtà allargata a più persone tra cui circola una dinamica relazionale che si rifà all’amore come al motivo ispiratore  e, al tempo stesso, come  all’obiettivo da raggiungere per qualificare lo stare insieme.

Il motivo unificatore non è tanto il fare ma quanto l’essere.

L’alleanza matrimoniale è espressione di una realtà suscitata da Dio stesso.

La famiglia non è un gruppo di persone, ma è una realtà di comunione molto più ampia. I termini, che vengono molte volte impiegati,  mortificano i concetti e, quindi, i contenuti.

Altra cosa, anche se impiegato quasi come sinonimo, è il gruppo. Il termine gruppo indica più persone che svolgono attività particolari. Il gruppo così si configura per il fare più che per l’essere.

La motivazione coesiva del gruppo è lo svolgimento di una specifica attività.

Gruppo di lavoro, ad esempio, designa un insieme di persone coordinate da un responsabile che ne porta a maturazione i singoli individui, aiutando a superare i conflitti, le difficoltà che possono essere incontrati.

Il gruppo non vive l’insieme, proprio perché gruppo. L’appartenenza ad un gruppo diventa una qualifica che caratterizza quando si è nel gruppo, al di fuori di esso si vivono altre realtà, come ad esempio quella di essere partecipe della comunità parrocchiale.

Quando un gruppo non funziona, si può sciogliere, modificare, manipolare.

Si possono allontanare le persone, o  cambiare le collaborazioni, o modificare gli obiettivi.

Tutto questo soggiace all’idea di gruppo.

Il gruppo ecclesiale esprime una caratteristica, che lo distingue da altri gruppi.

Il gruppo vive una sua logica particolare, che non riguarda tutti.

Il termine gruppo indica una parte.

Una cosa significa comunità parrocchiale ed altra cosa gruppo parrocchiale.

Il  gruppo ha un leader che guida e gli altri seguono. Basti pensare al gruppo politico per cogliere certi aspetti. Così pure nel gruppo terapeutico c’è lo psicoterapeuta che coordina i pazienti, ma non è un paziente. Insomma il gruppo non vive l’uguaglianza tra i componenti, ma ciascuno nel proprio ruolo  esprime la propria competenza specifica.

Fra voi, però, non è così. [Mc 10, 43 ]

La comunità trova tutti impegnati a svolgere un servizio reciproco.

Così pure, nella famiglia i genitori vivono nel servizio reciproco e nel servizio nei confronti dei figli e degli altri componenti.

At 4, 32   la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede  aveva un cuor solo ed un’anima sola.

La parrocchia definita come famiglia di famiglie ha bisogno, quindi, di prendere spunto dalla comunità familiare per vivere la sua dimensione spirituale.

Giovanni Paolo II, nel documento “Terzo millennio ineunte”,  parla di scuola di comunione per sottolineare la missione da svolgere sul territorio nell’ambito parrocchiale. Tutto questo ci fa cogliere come la vera opera da attuare nelle nostre famiglie ed intorno a noi, come cristiani adulti, è quella di vivere una realtà di comunione e non di gruppo.

Troppo spesso è la logica del gruppo ad avere la meglio nelle nostre relazioni, mortificando le aspettative che ognuno di noi avverte nel proprio cuore.

Quell’anelito alla comunione, che ogni uomo percepisce nel più profondo di sé, rimane come un progetto ideale, quasi come un bel sogno irrealizzabile.

Abbiamo bisogno di incamminarci su percorsi che favoriscano relazioni che abbiano un sapore umano. Abbiamo bisogno di porre segni chiari che aiutino a sviluppare sentimenti umani, rapporti improntati più alla qualità che all’efficienza tra i componenti della famiglia.

Troppo spesso le nostre case vivono dialoghi che somigliano a comunicazioni di servizio, piuttosto che ad incontro caloroso tra esseri umani carichi di umanità.

Trasferendo tale considerazione ad altri contesti dove le persone si riuniscono, come nel contesto sociale, lavorativo,  religioso, si può amaramente considerare come ciò che manca troppo spesso è il rispetto per la persona, l’attenzione alla persona.

Il cristianesimo è attenzione alla persona, perchè si fonda su di una persona: Gesù di Nazareth.

E Nazareth significa famiglia come ci teneva a sottolineare Charles De Foucauld, beatificato recentemente dal Santo padre Benedetto XVI.

Nel contesto del Natale, ci aiuti tale riflessione sulla famiglia perché possa attuarsi, nelle nostre case, una vera e propria scuola di umanità e di comunione.

Questo è l’impegno che l’equipe del consultorio cerca di portare avanti mediante la consulenza e le giornate di spiritualità.

Che il Signore accompagni i nostri passi in questa missione.

 

Pubblicato in Temi di riflessione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*